Quattro poesie inedite.
Paesaggio I
Dopo molti giorni di pioggia oggi è tornato il sereno.
Il cielo è grande e azzurro
come un blocco di marmo e nell’aria
c’è un tepore che risveglia il corpo
alla promessa di una minuscola
primavera nascosta dietro la schiena
di questo novembre. Vorrei poter dire
che il corpo è più vasto della mente,
ma io vivo dentro la mia mente
e spesso ne dimentico i confini.
Questo cielo per esempio significa una stagione
irreale, e non è più questo cielo
tradito in un lampo di piacere, ma un cielo mio,
pensato per la mia gioia.
Così ogni cosa amata, finché c’è ancora amore.
Chiudo gli occhi per dare spazio alle cose,
farmi da parte è la forma di fedeltà
migliore che conosca. Quando li riapro
il cielo è ancora grande e azzurro.
Paesaggio II
Nella vallata, dalle parti di Collacciano
o San Bartolomeo, bruciano le potature:
sono quattro o cinque piccole colonne di fumo
che il sole basso del tramonto,
abbagliandomi, mi sottrae per un istante
e mi restituisce più accese,
circonfuse di una luce che è gioia
e bruciore negli occhi –
mi restituisce la visione parziale
di un’estate totale, un sogno
d’interezza sognato in passato,
creduto falso, dimenticato e ora
tornato a me come una fantasia,
meno, il ricordo d’una fantasia
di un altro che come me adesso
guardava le potature bruciare
da questo balcone.
Penso ai rapporti che esistono tra il tutto
e le parti, penso che se sommi i fuochi
non trovi il fuoco centrale, ma torni
ai singoli fuochi, identici segnali
di vite irrelate. Come tutto è poco, penso.
E come è difficile pensare che le parti
sono imponderabili, come le persone,
o come un’ora d’estate in cui ormai
il tramonto è completo, un’ombra
s’intromette fra lo sguardo e il paesaggio
dove i fuochi resistono appena
e a te sembra di amarli di più.
Paesaggio III
Qui è il cuore del mezzogiorno,
dove i boschi e i prati della valle
si perdono e ritrovano in una sola
disumana distesa di luce e la mia mente
è una stanza con grandi finestre
assolate –
proprio come
nell’incubo che preferisco, dove c’è
la-donna-più-bella-del-mondo
fredda e inespressiva, un letto
con orrende lenzuola violette
e la nonna che mi guarda preoccupata,
e io ho solo voglia di scopare
ma ogni cosa è irraggiungibile
fino allo spasimo, e se non mi sveglio
gridando è solo perché lontano, in fondo
alla camera, si aprono due grandi finestre,
e oltre queste c’è il mare
in una giornata di sole,
e allora persino la distanza
appare tollerabile, si può vivere
anche così –
alla vista di un luogo
che non possiamo abitare.
Paesaggio IV
Ci sono momenti in cui si può esistere
con chiarezza e non appartenere a nessuno,
neanche a sé stessi: si è appena uno sguardo
che non si sofferma su niente,
e un gatto al sole è la stessa cosa
di un uomo. Da qui si vede più cielo,
o comunque un cielo migliore, e il pezzo
di mondo che ti cade davanti
ha una luce sua propria, come un gioiello
di strana fattura con dentro
un azzurro irripetibile.
Poter stare qui sempre, non affidare
a nessuno la propria vita, essere
questo sguardo prolungato in eterno.
(Questa rosa finta adesso
la vedi fiorire, puoi sentire
un profumo nell’aria e un fastidio
di spine tra indice e pollice.
Se lasci la presa non ti resta più nulla)