Cinque poesie in anteprima da “Ampi margini” di Gianni Montieri (LiberAria Editrice, 2022).
PHILIP ROTH A PIAZZA DEL GESÙ
L’approssimarsi delle chiese
la religione e il suo ingombro
il paradosso sublime del mare
a un passo, crudele e anarchico
come questa città, la piazza
ferma sul decumano inferiore:
uno mi parla e mi domanda
se sono americano, non lo so
non lo sono, qui sono nuovo
come il Gesù, immacolato
come l’obelisco, tutto ha senso,
pure Cristo, solo quando è nuovo.
GRACE PALEY A MONTE CALVARIO
Ho sempre creduto alle somiglianze
e vedo queste donne così distanti
da me, così uguali, cosa dovrebbe,
mi domando, distinguerle da me?
Stanno sull’uscio di una bottega
e discutono a voce alta, si capisce
che non è una lite, è volersi spiegare
una è grassa e ha il rossetto rosa,
mi fermo alla chiesa dello Splendore
e sono morta lo so, guardo ovunque
come ho sempre fatto. L’altra indossa
gli orecchini a cerchio, a volersi spiegare.
DAVID FOSTER WALLACE A MARECHIARO
È sera finalmente, qui è un posto
da poeti, il resto è da non crederci.
Dio non esiste, ma se esistesse, remota
possibilità, mi avrebbe spedito quaggiù
in una terra che è dopo la realtà
gente ipervissuta quindi mai nata
sono tanti e troppo rapidi, eterno
rodeo dove sei tu il cavallo e il toro,
dove quando piove il mare si fa nero,
scuro come la ruggine di fuori Boston,
un personaggio di Pynchon, baciarti qui
mi farebbe piccolo come a Capri vite fa.
DONALD BARTHELME A PIAZZA DEL PLEBISCITO
La statua di cristallo liquido, di vetro fuso
si muove verso il lato destro della piazza
il palazzo reale prova a piegarsi sull’acqua
un lampione colorato si flette e lo tira su
l’uomo non risponde, è svenuto, perduto,
l’ambulanza viene da dietro, dal San Carlo,
il medico è tranquillo, fa segni come “ok”
uno con la divisa blu li sposta tutti quanti
come in un cerchio magico – che si apre
nel cerchio della piazza – vedo lo scrittore
steso e da morto so che non è il suo tempo
poi uno scooter balza fuori dalla metropolitana.
RAYMOND CARVER A SAN MARTINO
Scattare una fotografia da quassù
con i capelli di Tess nell’inquadratura
l’obliquo perpetuo dove crollano
le mura. Una chiave, un foglio, un incipit
con la parola mare e un altro di rinuncia
per commozione, per sottrazione, trovare,
intanto che accavalli le gambe sul muretto,
l’aggettivo unico, il tempo e la ragione
poi passa un cane uscito da un ricordo
scoppia un tramonto irreversibile
fermo come il rosso di certi nostri laghi
o il mio orologio dall’agosto dell’ottantotto.