L’io nel silenzio. Su Milo De Angelis

da | Mar 15, 2022

Il 21 marzo 2020 «Doppiozero» pubblica un’intervista di Corrado Benigni a Milo De Angelis. La conversazione dei due verte sul tema del silenzio, elemento del reale che la chiusura generalizzata imposta dall’epidemia di Covid-19 ha problematizzato, all’inizio del 2020, in maniera inedita. A partire dall’osservazione sulla novità del silenzio che “abita” d’improvviso le strade, Benigni solleva le questioni del silenzio interiore, fenomenico ed estetico, nella poetica di De Angelis. Riflettendo sulle connessioni tra silenzio e nulla, il poeta offre questa osservazione:

C’è il silenzio che ricorda la parola precedente e attende quella successiva, ma c’è anche un silenzio mistico che si distende all’infinito e non è più legato alla dialettica tra ricordo e profezia. Questo silenzio senza prima né dopo, questo silenzio propriamente assoluto – ossia sciolto da ogni vincolo cronologico – è quello in cui emerge l’invisibile. Lì possiamo metterci in ascolto della musica sotterranea che percorre i nostri incontri, possiamo vedere le presenze impercettibili che animano oscuramente ogni cosa e la percorrono con il loro respiro nascosto […]. (i)

Il silenzio assoluto appare ritratto come momento d’incontro tra il vivere del presente e la trascendenza di un sentire che va ‘oltre’ i fenomeni fisici. Nella prospettiva di De Angelis questa ulteriorità non coincide con una negazione dell’esperienza, è invece vero e proprio accesso a un diverso livello di lettura dell’esperienza stessa. Si crea così una separazione: da un lato l’esperienza comune, dall’altro quella nella dimensione del silenzio, “in cui emerge l’invisibile”. È possibile stabilire una connessione tra questo concetto e una riflessione di Edmund Hussler, filosofo che stabilisce una distinzione tra l’io “puro” e l’io dell’esperienza sottolineando come il secondo tra i due sia, a differenza del primo, sempre soggetto alla possibilità del non-essere.

È sempre possibile, per principio, che io, questa personalità, non sia, così come è possibile che il mio corpo proprio materiale o un’altra cosa materiale non siano, per quanto date nell’esperienza […]. D’altra parte, per sapere che l’io puro è e che cos’è, nessuna accumulazione di autoesperienze può insegnarmi qualcosa di più dell’unica esperienza costituita da un unico cogito diretto. (ii)

Il semplice cogito, l’atto dell’articolare il pensiero, connota di fatto l’io puro, vale a dire l’io inteso come res intatta, assoluta. Riconoscere l’esistenza di un io oltre l’io immerso nell’esperienza fenomenica non significa dunque negare quest’ultimo, ma riconoscere lo scarto che separa la nostra persona empirica – che esiste in un certo tempo e in un certo spazio – dalla nostra persona “pura”. Nei termini usati da De Angelis, dalla nostra persona immersa nel silenzio assoluto, “sciolto da ogni vincolo cronologico”. Questo concetto di non-negazione, e dunque di compresenza delle due dimensioni dell’Io, appare centrale nella poetica di De Angelis in “Linea intera, linea spezzata”. Nella raccolta l’Io del poeta è infatti immerso nel silenzio assoluto: accede a una dimensione ontologica in cui la vita – propria e altrui – è scardinata dagli alloggiamenti del quotidiano. Il mondo resta il mondo, il dato empirico resta empirico, eppure le vite formano intersezioni nuove, non più dettate dagli argini di tempo e spazio. Il corpo e, più in generale, la fisicità, non vengono accantonati a favore di un’immaterialità spiritualizzata. Al contrario, si pongono come elementi imprescindibili per gli atti di relazione, e tuttavia trasfigurati nel nuovo del silenzio. La radice filosofica di questa non esclusione del dato corporeo nella dimensione di trascendenza trova nella riflessione sartriana (erede di quella hussleriana) un riferimento fondante. Scrive Sartre ne “L’essere e il nulla”:

Ma il sorgere del mio essere, poiché dispiega le distanze a partire da un centro, con l’atto stesso di questo dispiegamento, determina un oggetto che è sé stesso […]. Così il mio essere-nel-mondo, per il solo fatto che realizza un mondo, si fa indicare a sé stesso come un essere-nel-mondo che realizza un mondo, e questo non potrebbe avvenire altrimenti, perché non vi è altro modo di entrare a contatto del mondo se non quello di essere nel mondo. (iii)

Il corpo è il fulcro della nostra prospettiva nei confronti del mondo. Esso è determinato come oggetto del mondo dal nostro stesso essere al mondo (“essere-nel-mondo”): non potremmo non abitarlo ma, paradossalmente, non lo abitiamo mai davvero. Il nostro io va oltre l’oggetto fisico del corpo, eppure è soltanto nell’essere tale oggetto fisico che può interagire con il mondo. Abbandonare il corpo, in altre parole, significherebbe abbandonare la relazione con l’esistente. Nell’arco della raccolta, pubblicata da Mondadori il 26 gennaio 2021, questa ‘posizione’ filosofica trova un riscontro nel modo in cui il poeta delinea il rapporto tra il sé e il resto. La fisicità va così occupare un ruolo centrale: l’apparenza onirica di quello che De Angelis descrive è realtà pura, esperita nello stato in cui il sé si immerge in un silenzio, si è detto, assoluto. Il corpo e la dimensione formale dell’essere singolare non scompaiono. Proprio tramite questa fisicità determinata nel mondo e dal mondo l’Io può addentrarsi in un labirinto esistenziale nuovo, in cui presenze e incontri non sono più generati dalla consequenzialità logica del vivere empirico. Ecco che le realtà di figure del passato e del presente, di affetti e di sconosciuti, di oggetti e di persone fisiche, occupano un posto nell’esperienza orizzontale dell’apertura al silenzio. Scrive il poeta in “Intra”, poesia della prima sezione (omonima al titolo della raccolta):

mentre ondeggiano le canoe e nemmeno l’ignoto
dà notizie di sé stesso: non è parola
né silenzio, ma un fraseggio di suoni indistinti.
Ma tu, amore, racconta dalla tua corolla
insanguinata questo esilio, il nostro esilio, dimmi
perché ogni ora è trafitta da un sibilo violento,
non sente più il richiamo del mattino, crepita
nella luna immobile e la testuggine che uscì
dalla tana ha cancellato le sue orme e si è perduta. (iv)

Non un esilio ma “questo esilio, il nostro esilio”. La circostanza non è descritta dal punto di vista di un esterno ontologicamente scisso. Il poeta sta scrivendo dell’esilio in cui si trova: l’esilio dell’assoluto, del silenzio, in cui anche le categorie dell’ignoto smettono di fornire indizi. La rarefazione dell’immagine trasporta il lettore in un tableau statico, in cui gli elementi si addensano e si sfaldano con la rapidità di “un sibilo violento”. Il senso della perdita, lo stesso della testuggine che ha smarrito la strada, domina la composizione senza innescare sentimenti di angoscia. È cosa presente, tanto quanto le canoe o la luce del mattino. In tutto questo la voce del poeta chiama quella della persona amata, le domanda un perché che resta senza risposta. Emerge qui un dato fondamentale: il poeta non è solo. L’astrazione nell’assoluto – come si è detto, al contempo corporeo e incorporeo – non coincide con uno stato di isolamento. Al contrario, proietta l’Io in una dimensione d’incontro, in cui l’esistenza singolare interseca con quelle di altri. Nel caso di “Intra”, con quella della persona amata. Un’indicazione su tale dimensione di intersezione esperienziale giunge dal titolo stesso: “Linea intera, linea spezzata”, espressione derivante dal libro dell’I Ching (v) – testo sapienziale dell’antichità cinese. In esso “la nostra vita viene rappresentata attraverso delle linee, che possono essere intere […], oppure interrompersi in un determinato punto” (vi). Le linee sono dunque le vite: si incontrano nel silenzio come parti di un tutto esistenziale senza tempo e spazio, liberate dalle costrizioni delle conseguenzialità logiche. Il poeta si rivolge così a figure evanescenti, concretamente presenti
eppure astratte nell’assoluto.

Hai invocato il sonno, ma il sonno
era acqua che si spezza,
un’alba sottoterra
e ancora quel
terrore di chiudere la porta. Pregavi.
Ma non per risorgere o per un altro
sogno celeste. Chiedevi un’altra giornata. (vii)

L’altro appare ritratto nel suo specifico esistenziale. Nello specifico, vale a dire, della propria linea – intera o spezzata che sia. In questo senso i ‘ritratti’ che De Angelis compone non sono ritratti descrittivi ma performativi. La soggettività del poeta è parte integrante del tutto assoluto a cui accede: non si distingue da esso né si estrania nel compiere l’operazione estetica della composizione del verso. L’altro, incontrato, figura così nel suo rispettivo scorrere, nello svolgimento effettivo della sua linea esistenziale. Nella poetica di De Angelis, l’immersione nel silenzio assoluto significa dunque astrarsi dalla vita empirica non per accedere a un’estasi contemplativa, ma per abbracciare uno scorrimento nuovo, in cui la staticità degli instanti è paradossalmente sovrapposta a un divenire senza tempo. In altre parole, le figure che il poeta incontra in questo astrarsi sono sì figure fuori dal loro tempo e dal loro spazio empirico, ma che continuano a scorrere – in quanto linee esistenziali – accanto al poeta al momento della composizione. Scrive in “Penultima tappa del viaggio notturno”:

e sei uno degli idioti sul muretto
che radunano tutta la vita in un gemito
guardi le corde di acciaio del trampolino
e poi guardi l’oscurità nel corridoio
che si espande silenziosa dentro di te (viii)

Le linee delle vite si sviluppano, si spezzano, si caricano di oscurità nel conitnuum esistenziale che racchiude ogni esperienza. Il poeta è immerso in questo stato di silenziosa connessione con le vite del mondo, nel mondo. Il ‘tu’ a cui si riferisce resta spesso recondito: la connotazione narrativa dell’identità cede il passo al valore assoluto, husslerianamente “puro”, dell’incontro. In “Linea intera, linea spezzata” De Angelis scandisce infatti i propri incontri, momenti cioè in cui le linee delle vite si intrecciano fugacemente. Le figure che affollano la raccolta non sono evocate in uno scavo memoriale a ritroso, ma nella simultaneità di un presente ininterrotto – come si è detto, assoluto – che diventa poesia. Si incontrano così versi come quelli di “Lauretta” (prima poesia della sezione “Le ore contate”):

L’ho riconosciuta, dopo sessant’anni, dall’assenza.
L’ho riconosciuta dal silenzio che la invadeva da bambina. (ix)

Il riconoscimento stesso segue strade che vanno oltre il presente empirico. Il poeta ritrova la figura femminile nello svolgersi della sua linea esistenziale, in una dimensione in cui il passato dell’infanzia e l’assenza, generata dalla morte, coesistono. I momenti del vissuto personale sono ‘parti’ della linea, la loro descrizione è ritratto di una manifestazione assoluta. La protagonista di “Lauretta” è così riconoscibile tanto nel suo essere esistita quanto nel suo esistere, dimensioni indistinguibili al momento dell’immersione nel silenzio. Seguendo la lezione di Sartre, la lingua di De Angelis assume in questo contesto il valore proprio di un’“estensione del corpo stesso” (x). Nominare un oggetto, un qualsiasi altro da sé, significa rivelare la sua essenza profonda, “svelarlo” agli altri (xi). La scrittura poetica si carica così di un valore che trascende l’empirico: quello del cogliere l’altro non nella transitorietà del momento, ma nella dimensione complessiva della sua esistenza. Appunto, nella dimensione della sua esistenza intera come linea. Sottolineare questo concetto è importante per osservare un dato relativo alle linee presentate come “spezzate”. La ‘linea interrotta’ come allegoria della morte è un’immagine tanto minimale quanto universale nella sua comprensibilità. Si pensi all’affinità con l’immagine mitologica greca del filo della vita dell’uomo reciso dalle moire al momento del suo compimento. Questa proiezione figurativa della morte è posta da De Angelis a titolo stesso della raccolta, titolo separato in due segmenti da una virgola che veicola graficamente il senso della scissione insanabile (xii). Ciò che è da notarsi è che, sulla base di quanto osservato fino a questo punto a proposito della concezione poetico-ontologica su cui la raccolta si fonda, gli incontri di De Angelis non sono incontri con la morte, ma con i morti. La morte-come-tale non trova posto in un contesto in cui la corporeità e l’essenzialità dello svolgersi delle vite restano al centro dell’esperienza di relazione nell’assoluto. Così come, d’altronde, non lo trova la vita: alle figure che il poeta incontra non si sostituisce alcuna personificazione onirica. Si tratta di un dato particolarmente significativo se si considera che l’ultima sezione, “Aurora con rasoio”, comprende le intersezioni con le linee spezzate dai suicidi. Le ventitré poesie che la compongono scandiscono gli incontri del poeta con figure accumunate dall’aver interrotto la propria esistenza: una pallida giostra (xiii) di creature finali, che hanno abbreviato la loro esistenza, hanno spezzato la linea per mille ragioni: angoscia, vendetta, coerenza, rito, dovere, fallimento, entusiasmo, disperazione, estasi, mania, conoscenza, insegnamento, sarcasmo, vergogna, dimostrazione, rimprovero, condanna, liberazione. (xiv)
Il pathos lirico raggiunge così il suo culmine: il modus espressivo in cui si definisce l’intera raccolta trova un’espressione definitiva nell’addentrarsi in un tema potenzialmente sconfinato. Anche nell’interagire con un grado di ‘complessità ontologica’ tanto problematico quanto quello del suicidio, la poesia di De Angelis non abbandona la delicatezza che connota ciascuno dei suoi incontri. Il motivo particolare dell’‘auto-interruzione’ delle linee è posto dal poeta come categoria, criterio ordinatore dettato dalla propria singolarità esperienziale. In altre parole, i suicidi che affollano le pagine della sezione non appaiono ritratti in una cornice di attribuzioni di significato. Sono invece raggruppati intorno alla motivazione personale del poeta: quella, ancora, dell’incontro. De Angelis non chiarisce, non azzarda l’assegnazione di senso o la valutazione. Si pone nell’atteggiamento ieratico dell’io-puro hussleriano, avvinto nelle connessioni con le linee degli altri. Alcune evocate per nome (Peppino (xv), Gianni Hofer (xvi), Daniele Zanin (xvii)), altre – la maggior parte – velate nell’indeterminato.
Separazione, separazione ingiusta, illegale, assoluta, separazione da tutti voi che siete stati nei negozi e vi siete uniti, vi siete uniti alle luci del mondo intero, vi siete uniti per sempre alla storia
e alle creature, ma io non io so che qualcosa di mai congiunto circola nel sangue, qualcosa che mi ha divaricato per sempre e la luna non concorda (xviii). 
In questi versi tratti da “La stanza che gira su sé stessa” la separazione assurge a principio che definisce il vissuto. Un “qualcosa” occupa le vene, divarica il sé – separa, appunto. L’immaginario della tossicodipendenza, evocata già nel titolo, offre il contesto di un incontro dai dettagli sfocati. Contesto in cui ogni altra vita è letta come parte di un tutto organico di luci, di negozi, di creature: il tutto del mondo. La separazione interviene a distinguere in senso totale l’io da ciò che non è io, confinandolo “per sempre” nello spazio stretto di una stanza che sembra ruotare. La violenza, il rumore, la frenesia della vita comune si azzerano nell’attimo dell’incontro nell’assoluto del silenzio: lo sguardo del poeta supera ogni inessenzialità contingente. L’accadere stesso del male, della morte, è posto in secondo piano rispetto alla centralità personale dell’esperienza suicidaria. L’Aurora che giunge con rasoio al finire della notte non è dunque un’aurora “portatrice di morte”. Piuttosto, un’aurora che illumina con i propri raggi gli atti già compiuti, le linee già spezzate. Per usare l’immagine di Arrigo Boito posta in exergo (xix) alla sezione, la “pallida giostra / di poeti suicidi” (xx). È possibile leggere un’idea circolarità nella prospettiva del poeta: così come la giostra torna su sé stessa, così anche l’aurora ritorna nel mondo all’infinito. La fatalità del morire – nello specifico, del morire suicida – non appare allora nella poetica di De Angelis come punto di rottura di un ordine esistenziale, ma come parte integrante dell’ordine stesso. Le linee scorrono, le linee si intrecciano, le linee si interrompono. Al buio succede l’aurora. Sta scritto nell’I Ching:

Ogni cosa terrena è soggetta a mutamento. Alla fioritura segue la decadenza. Questa è l’eterna
legge sulla terra. Il male può essere represso, è vero, ma non durevolmente eliminato. Esso ritorna ogni volta. Questa convinzione potrebbe ispirare malinconia, ma non deve avere questo effetto: deve invece aiutarci a non rimanere abbagliati quando la fortuna ci assiste. (xxi)

Il riconoscimento di un equilibrio universale tra le dimensioni di esistenza e non-esistenza è dichiarato da De Angelis, ancora una volta, già nel titolo della raccolta. La verità di questa distinzione è raccontata nelle pagine di “Linea intera, linea spezzata” come totale: permea ogni cosa – ogni incontro – con la semplicità inviolabile di una realtà spirituale. Realtà che, come si è visto, appare ordinata e originata dallo sguardo singolare del poeta. È infatti proprio a partire dalla propria soggettività che il poeta accede alla possibilità dell’incontro, vale a dire tramite la propria disposizione alla dimensione del silenzio. In essa non vengono meno le leggi della vita e della morte: al contrario, sono esaltate nella loro forma più pura, spogliate dalle costrizioni dello spazio e del tempo contingente. L’io del poeta si rende così il punto centrale di un tutto ontologico, ordinato prospetticamente secondo i soli dettami della singolarità. Dettami che, nella prospettiva di Hussler, costituiscono il solo parametro possibile per intendere le relazioni tra il sé e l’altro.

Tutte le cose del mondo circostante hanno una loro orientazione rispetto al corpo, così come tutte le espressioni dell’orientazione portano in sé questa relazione. Il «lontano» è lontano da me, dal mio corpo vivo […]. Grazie alla sua facoltà di compiere liberi movimenti, il soggetto può rendere fluido il sistema delle sue manifestazioni e perciò le orientazioni. (xxii)

Tutto questo non viene meno nell’immersione nell’Io nel silenzio, dimensione – come si è detto – da non intendersi nei termini di una negazione del reale. Nel silenzio assoluto ogni cosa, ogni autobus, ogni lampione, ogni abito, ogni stanza, ogni strada, ogni stazione, ogni circostanza, esiste in rapporto alla posizione dell’io, vale a dire all’orientamento della sua linea. Linea cui seguirà il baratro dell’interruzione, illuminato dall’alba nella giostra dell’universale. Sarà dunque linea spezzata, un giorno, la linea che adesso è intera, di cui adesso la poesia si rende traccia.

Gloriose avventure terrestri finiscono in silenzio:
erano apparse. (xxiii)

 

Note:

i. C. Benigni, “Il silenzio. Intervista con Milo De Angelis”, «Doppiozero», online, 21 marzo 2020:
https://www.doppiozero.com/materiali/il-silenzio-intervista-con-milo-de-angelis
ii. E. Hussler, “Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie”, a cura di K. Schumann, Kluwer Academic Publishers, Berlino, 1950; edizione italiana: “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”, Mondadori, Milano, 2008, p. 541.
iii. J. P. Sartre, “L’être et le nëant. Essai d’ontologie phënoménologique”, Gallimard, Parigi, 1943; edizione italiana: “L’essere e il nulla”, a cura di G. Del Bo, Mondadori, Milano, 1991, p. 404.
iv. M. De Angelis, “Linea intera, linea spezzata”, Mondadori, Milano, 2021, pp. 27-28.
v. (a cura di) R. Wilhelm, “I Ching. Il libro dei mutamenti”, prefazione di C. G. Jung, traduzione di A. G. Ferrara e B. Veneziani, Adelphi, Milano, 1991.
vi. Trascrizione di una presentazione del libro offerta da De Angelis in un video pubblicato dalla fotografa Viviana Nicodemo – a cui la raccolta è dedicata – sulla propria pagina Instagram in data 26/1/2021.
vii. M. De Angelis, “Linea intera, linea spezzata”, 2021, p. 18.
viii. Ivi. p. 40.
ix. Ivi. p. 45.
x. A. Leak, “Jean-Paul Sartre”, Reaktikon Books, Londra, 2006, p. 80: “an extension of the body itself”.
xi. Ibid.
xii. Nell’edizione del volume la seconda parte del titolo, “linea spezzata”, segue la prima andando a capo, creando dunque una separazione forte.
xiii. Riferimento ai versi di Arrigo Boito in exergo alla sezione, riportati di seguito.
xiv. M. De Angelis in “A una razza in estinzione”. Dialogo con Milo De Angelis, «Pangea», on line, 4 febbraio 2021: http://www.pangea.news/de-angelis-dialogo/
xv .Id., “Linea intera, linea spezzata”, 2021, p. 83.
xvi. Ivi. p. 95.
xvii. Ivi. p. 102.
xviii. Ivi. p. 92.
xix. Ivi. p. 73.
xx. A. Boito, “A Giovanni Camerana” in ID., Il libro dei versi, Casanova, Torino, 1902, p. 71.
xxi. (a cura di) R. Wilhelm, “I Ching. Il libro dei mutamenti”, 1991, pos. 42.
xxii. E. Hussler, “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”, 2008, p. 592.
xxiii. M. De Angelis, “Linea intera, linea spezzata”, 2021, p. 96.

 

Immagine: Foto di Viviana Nicodemo.