I voti matrimoniali di qualcun altro

da | Feb 8, 2022

Cinque poesie nella traduzione inedita di Stefano Bottero (da “Someone Else’s Wedding Vows”, 2014). 

 

WHAT’S IT LIKE

Io non posso amare come un birillo. Non
come la corsia. Non come la scarpa blu.
Io posso amare come una casa coloniale, o come un camino
del lutto che inala dai forni
del mio primo periodo impopolare. Questo
è uno stagno in cui migliaia
di girini neri vagano tra i sassi.
Questa è una zattera di legno rovesciata
da un assembramento di adolescenti.
E non ci sono nuvole nel cielo.
Né aeroplani. Non c’è neanche
un cielo. E non c’è neanche un cielo dietro a quello.

 

*

I VOTI MATRIMONIALI DI QUALCUN ALTRO

L’ascesa dell’australopiteco. Le strane nuvole su Long Island
durante il classico matrimonio. La folla spaventata da che significa
che venga letta la poesia di O’Hara sull’insalata di avocado.
Per me è una perversa perdita di tempo fare delle congratulazioni.
L’accuratezza mi raggiunge, scivola via
in frammenti dei miei primi lavori recitati
nei comitati segreti di difesa delle armi.
Sono presidente delle ostriche. Sedotta dalla ristorazione;
calamari viola che affondano nel proprio manto pietoso,
immodificabile tra gli involtini.
Pagherei per stare bene sempre.
Ma sto raccontando aneddoti alla sera senza chiese,
guardando ospiti smarriti portare piatti di carta verso tavoli inoffensivi
illuminati da centrotavola alla Greta Garbo.
Portami alla quercia all’entrata e dimmi che mi ami
dico al cane di casa. La piscina è accesa da candele senza odore.
Hillery è in piedi su una sedia;
stiamo scattando le fotografie del matrimonio,
praticando la doverosa permanenza di qualcun altro.
Cerchie di paillette al bancone del bar.
Una mano arriva a cingere dei fianchi bianchi e considera la letteratura
per la prima volta dopo mesi–
questo è il mare che ci si dispone dentro,
la nave ardente che vaga con la sua ciurma ardente, ansiosa–
il resto possiamo riassumerlo in svariate righe sulla perpetuità.
Il resto lo dobbiamo al nostro complesso apparato digerente
che lavora il calamaro ricoperto di cellule catarifrangenti,
iridescenti a seconda della bile
che gli esseri umani un giorno saranno in grado di produrre.
Questa è una sera più fredda in settembre.
Il sole fascia il suo terrore contemporaneo in ogni cosa.
Il giardino di casa non ha mai avuto la sua chance con una bellezza violenta, trasandata–
ma qualcosa di buio si agita nelle le mamme incipienti.
Voglio abbracciare qualsiasi cosa sia più salda e grande di me stessa.
Come il suono del vento intorno alla tenda
o come ognuno che inventa la propria serenità colloquiale,
facendo una scena, troppo annoiato o interconnesso
al rancore per smettere di mangiare. Ed è vero
ho speso la mia vita intera nel terrore di condividere la mia ragione
ma con la voglia che fosse compresa.
Anno dopo anno non ho potuto neanche ordinarmi di essere toccata.
Sono diventata una cameriera che appariva triste, abbandonatasi a volte
nel letto di un pervertito, che appariva più triste
e più meschino. Sarei dovuta uscire tra i campi ogni notte
a guardare gli orsi bruni rugliare nella madreselva.
O immergermi nei saggi di Empson, che non ho mai finito.

 

*

ELEGIA CON UN’OSCURITÀ TRA I MIEI PALMI

Sto leggendo le poesie dei morti.
Non sento alcuna religiosità se non questa.
Ciascuna mano come un bastardo sul mio grembo.
Sto pensando alla dimensione di un’oscurità tra i miei palmi
che smuovono versi come colibrì verde smeraldo.
È la Vigilia di Natale a Brooklyn.
Sbuccio un’arancia nel vapore indistinto
e ogni cosa è in silenzio.
Faccio un brindisi alla finestra
e getto la scorza alla luna
che retrocede nelle nuvole come un testicolo iridescente
nel grembo sacro dell’atmosfera.
Oggi mi sono svegliata sconvolta.
Ho girovagato in pantaloncini da ginnastica e maglione
per il sottomarino vuoto del mio appartamento
come il professor Perre Aronnax.
Non ci leggo dentro più di quanto devo.
Leggo in un bicchiere di Sangiovese
perché in profondità siamo vampiri
incapaci di reggere la fisicità.
Oh, la mia famiglia. Ogni giorno il vostro amore è un fuoricombattimento.
Ho il mio libro di cose che sono accadute sulla luna.
Il mio alterarmi e i miei punti fermi per stupire.
Sono nell’odore perentorio delle cose vive.

 

*

Dov’è la pioggia
quando mi sento così
sconsiderata?

Sono andata da una dottoressa e ha detto
C’è una piccola te lì dentro che si sente
Orribile–

la piccola me è caduta
come un pianoforte a coda nel mio grembo.

 

*

Sto persuadendo il toro nero a uscirmi dalla bocca
con una bandiera rossa e una birra. Sto costruendo
sui miei geni difettosi,
la mia ultima frase, la mia ultima risorsa
che affronti il dilemma di traverso:

percepiremo in altri il nostro stesso dolore.
E sapremo se siamo in grado di amarli.