Traduzioni inedite di Anastasija Gjurcinova e Mia Lecomte.
ORRENDAMORTE
Ogni cosa da sola qui nasce e svanisce.
Pietra immensa. Cicatrice. Ambigua, sterile parola.
La primavera le è madre e insieme perfida matrigna.
Ceneri del sogno, sogno di ceneri. Orrendamorte.
Inghiottito dalla siccità, torto da nere piogge,
qui i giorni alle notti si accumulano, falda a falda,
e lungo la scorza si inanellano in vertebre
le ombre ossificate di furie e carni selvagge.
Le burrasche qui sibilano e gridano oscuri spettri,
qui, peccato originale e delitto, punizione e biasimo.
L’uomo e la bestia qui dividono lo stesso antro
e il bambino muove il primo passo.
Sopra, germina il pane, con radici amare e profonde,
è secco e dolce e brucia come fiamma.
Poesia, se sfinito ti affronta l’eremita
tu accoglilo, che ti sia eguale nella fiamma.
Rosa in gola, in bocca uva serpe,
galla nel sangue discorde,
terra di veleni dal sapore di morte,
rotola la pietra infuocata: Brucia. Brucia. Brucia.
Ogni cosa qui nasce e da sola svanisce.
Pietra immensa. Cicatrice. Ambigua, sterile parola.
La primavera le è madre e insieme falsa matrigna.
Ceneri del sogno, sogno di ceneri. Orrendamorte.
SANGUE ABISSALE
Nel profondo un sangue pesante,
lo si direbbe dall’origine dei tempi.
Non manifesto a queste altezze, nelle torride brume.
Giace maledetto come di piaga cicatrice.
Nel profondo un sangue pesante. Sangue.
Lo spessore della resina nera.
Sangue vorace, la sua sete risale alla genesi.
È sangue antico, nudo e nero.
Giace, come talpa scava.
Va di soglia in soglia, fruga la coscienza.
Come morte infallibile, inesorabile,
colma ogni lacuna, spazio.
Nel profondo un sangue pesante,
che mi ordina senza posa:
Seguimi per primo, non una parola,
non mi abbandonare mai.
Sangue terribile nel profondo,
terribile più che minaccia.
Nel profondo un sangue tanto pesante
che lo si direbbe dall’origine dei tempi.
POESIA
Terra dura e ribelle, tu sia.
Statua muta su una sedia.
Ridi dell’effimero. E orrida
cresci dalla pietra addolorata.
Sii cielo. Il mio azzurro. Ghirlanda di stelle.
Tempo superstite tra quattro mura.
Infallibile, trafiggi il cuore. Come lancia.
Sostienimi come una cariatide.
STRADA COMUNE
La mia strada senza caseggiati,
senza tigli, ulivi o verdi acacie.
A volte pare un albero morto
su cui posano uccelli sperduti.
La mia piccola strada senza nome,
con gioie e paure ordinarie.
Senza le iridi bruciate dal sole
sarebbe fuori dal mondo per sempre.
Sono l’unico passante della mia strada
che solo a sera, quando dorme il silenzio,
si sveglia timida, sedotta,
ingannata dal richiamo d’altrove.
PREGHIERA PER UN’ANCORA INTROVABILE PAROLA ORDINARIA
Il mio corpo ti prega:
Trova una parola come l’albero comune,
come le nude mani di carbone dei nostri antenati,
il candore dalla prima orazione.
Ti prega il mio corpo per questa parola.
Ti prega il mio corpo:
Trova una parola
– proferita nel grido –
che ferisca d’istinto il sangue,
il sangue in cerca di un letto per scorrere.
Ti prega il mio corpo per questa parola.
Trova la giusta parola
a immagine di tutti i prigionieri tranquilli,
di questo vento, refolo
che risveglia negli occhi i caprioli.
Trova la giusta parola.
Trova la parola della nascita, il grido,
trova la parola. E questo tempio
prigioniero degli anni, forte dell’attesa,
da solo, umile al tuo cospetto, s’aprirà.
Trova la parola della nascita, del grido.
SESTA PREGHIERA DEL MIO CORPO
Sei la ricamatrice della danza, di questo ritmo nativo.
Da un paesaggio selvaggio mi chiama il tuo sangue, di lontano:
«Verso il tuo corpo, rigido, mi affretto,
io sconosciuta, sorda cascata del chiaro di luna».
Sulla tua fronte pascolano cervi disorientati
le tue robuste braccia si radicano a terra,
germinano nella tua gola erbe nuove,
le tue parole sono ossa e coltelli, ma mute.
Sei la ricamatrice della danza, questo ritmo nativo,
ma non so se tu sia la mia notte, se sei giorno,
rosso il grumo di terra dove giace il mio corpo
è troppo angusto per la mia sovrana disfatta.
NONA PREGHIERA DEL MIO CORPO
Ecco il luogo, il corpo inaccessibile
steso come muta fame,
ecco tutte le luci e acque
di questa città murata.
Sopra i tetti, l’eterno piccione tuba
una favola misteriosa di pane e soldi…
Hai trovato la parola, il nome
che erode al midollo?
Hai risolto il terribile enigma,
l’età non vissuta ancora, in nessun luogo
Hai visto quanto dolgono le luci
su questo corpo che scorre senza corrente
Ecco il luogo, il corpo inaccessibile
la fame che lo distese e partorì.
Eccola, questa città murata,
murata d’acqua e luci.
IL VENIRE LENTO DEL FUOCO
I
Il fuoco è qui, sotto il delirio d’acque,
sotto la calce e il male sorto da sé.
Sotto queste acque pesanti e mature,
fosco discrimine in tre nere frontiere.
Sotto la ghirlanda di teste di sole
sotto quest’onda che annega con le rocce
Sotto rimbombi, malanni e bestemmie
e sulla riva l’albero di un eterno malaugurio.
È qui, questo fuoco, sotto la pelle,
su queste tre frontiere, tre coltelli.
Ovunque e sempre onnipotente e sfinito?
stella nel cuore, notte nelle radici.
Scava,
dissotterralo.
II
Dalla fonte alla foce,
dal pugno alla croce.
Dalla segreta al fremito,
da fratello a avversario.
da faro a forca,
dal verbo al dardo.
Scava,
dissotterralo.
III
Qui mai lo dissotterrerai.
È innestato sul faggio ancestrale.
Tre tronchi come culla.
È vento rosso tra i papaveri.
Icona guerriera dell’antica chiesa
Parola dispersa cerca la propria voce.
Eccolo in ginocchio, mendico distratto,
incide la parola in un legno d’altare.
Scava in te, sotto la tua pelle,
sotto le tre cicatrici, tre coltelli.
IV
Scava,
dissotterralo.
Dal borgo ai ruderi,
dal seno all’osso.
Dal divino alla spina,
dalle messi all’anatema.
Dal segno all’urlo,
dal fodero al bagliore
Scava,
dissotterralo.
V
Non lo dissotterrerai neppure a prezzo di sfrenate razzie.
I morti non sono morti, non sono vivi i vivi.
La croce fu loro leggera, non la cenere.
I morti saranno morti quando ne morirà il canto.
La tomba non grava sui corpi sepolti.
Gravano sui vivi i canti intonati.
Non dissotterrerai il fuoco, neanche se resti in eterno.
È il santo che fa segno dall’icona.
È questa stele, capezzale di tutti i morti,
questo convivio siderale, sofferenza e salvezza.
È questa magia, il sangue miracoloso
che lenisce ogni piaga e decapita.
Sotto le tue ferite, scava, sotto la lama che reggi,
nei tuoi occhi il fuoco è sommossa di rose in fiamme.
VI
Scava,
dissotterralo.
I fiumi lanceranno l’ultimo anatema,
e cesseranno di scorrere, si asciugheranno.
Crollerà il cielo.
Le montagne crolleranno. Verrà il regno dell’aridità.
Astri e fiere, veleni e campi si uniranno,
non si distingueranno più vivi e morti.
Scava,
dissotterralo.
VII
Scaverai sotto il tuo corpo e sorgerà su di te
ti poserà sulla spalla una testa da morto.
Il fuoco ti condurrà, cieco in anfratti segreti,
e non vorrai più sapere dove, chi, cosa sei.
È qui, in questa radice, in questo silenzio luminoso
e mai conoscerà la sua luce.
È sugli alberi, con tutti gli impiccati.
Siamo noi, io, sei tu.
E quando pare voce che da sola si spegne
dalla più alta e sorda cima, di nuovo, ti chiama.
VIII
Scava in te, sotto la pelle,
sotto il sole nero dei tre coltelli.
È qui, il fuoco, sotto il delirio delle acque,
nelle viscere affamate che sgravano la parola affamata.
Può anche domare la fiera nell’antro,
smembrare, schiacciare, uccidere, raccogliere.
Il fiore ne guadagna bellezza
senza, il mondo si impoverisce d’un mondo.
La croce ci è leggera, la cenere no,
i morti con noi moriranno, col nostro canto.
Aco Šopov (Ацо Шопов [ˈa͡tsɔ ˈʃɔpɔf], Štip 1923 – Skopje 1982) è stato un poeta macedone, ora considerato uno dei poeti più importanti della Jugoslavia, tra i fondatori della letteratura macedone contemporanea. La sua infanzia è stata segnata dalla lunga malattia della madre, di cui dovette prendersi cura egli stesso ancora bambino. Così, l’ombra del male incurabile e della morte, l’“orrendamorte”, la tristezza e la solitudine saranno presenti già nelle sue prime poesie, scritte all’età di 14 anni, e persisteranno nella sua poetica fino agli ultimi versi, due anni prima della morte. Ha partecipato alla Seconda guerra mondiale, prendendo parte al movimento dei giovani comunisti e nelle lotte antifasciste. La sua poesia ha trattato inizialmente temi e motivi legati alla guerra di liberazione, per poi passare a prediligere momenti lirici e intimistici. Laureato presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Ss. Cirillo e Metodio di Skopje, ha lavorato quale redattore e poi direttore di una delle più importanti case editrici del suo paese, «Makedonska kniga». È stato membro dell’Accademia macedone delle scienze e delle arti (1967), membro corrispondente dell’Accademia serba delle scienze e delle arti (1968), presidente dell’Unione dei traduttori e dell’Unione degli scrittori della Repubblica socialista di Macedonia negli anni ‘50 e ’60, e dell’Unione degli scrittori della Jugoslavia dal 1965 al 1969. È stato il primo presidente del Festival internazionale «Serate poetiche di Struga», fondato nel 1961 sul Lago di Ohrida. Dal 1970 al 1977 ha svolto attività di diplomatico, quale ambasciatore della Jugoslavia in Senegal e direttore della Commissione macedone dei rapporti culturali con l’estero. Importante traduttore dall’inglese e dal francese (Shakespeare, Corneille, Rostand, Sengor), Aco Šopov ha scritto e pubblicato dodici raccolte di poesia in lingua macedone ed è stato tradotto in decine di lingue straniere. Si è impegnato a porre le basi di una poesia macedone decisamente moderna, in cui la visione del mondo, della patria e del destino umano si uniscono al sentimento profondo delle proprie intime esperienze.