Quello che segue è il primo capitolo di “Eros il dolceamaro” di Anne Carson, pubblicato per la prima volta nel 1986 con titolo originale “Eros the sweetbitter” e da poco nella traduzione italiana di Patrizio Ceccagnoli, con uno scritto di Emmanuela Tandello, per Utopia editore.
Fu Saffo la prima a definire l’eros «dolceamaro». Chiunque si sia davvero innamorato non oserà contraddirla. Ma qual è il significato di questa parola? L’eros è per Saffo allo stesso tempo esperienza del piacere e del dolore. Ecco la contraddizione, e forse anche il paradosso. Percepire l’eros può scindere la mente in due. Com’è possibile? I termini della contraddizione possono sembrare, a prima vista, ovvi. Diamo per scontata, come faceva Saffo, la dolcezza del desiderio erotico; la sua piacevolezza ci sorride. L’amarezza, invece, è meno ovvia. Esistono svariate ragioni per cui ciò che è dolce deve essere anche amaro. Tra i due sapori intercorrono svariate relazioni. I poeti hanno risolto la questione in tanti modi. La stessa formulazione di Saffo è un buon punto di partenza per cominciare a illustrare la varietà di queste soluzioni. Ecco il frammento in questione:
«Ἔρος δηὖτέ μ᾽ ὀ λυσιμέλης δόνει,
γλυκύπικρον ἀμάχανον ὄρπετον».
« Eros once again limb-loosener whirls me
sweetbitter, impossible to fight off, creature stealing up ».
«Eros, scioglitore di membra, ancora una volta mi scuote,
dolceamaro, impossibile da combattere, creatura insinuante».
La traduzione è difficile. «Sweetbitter» («dolceamaro») suona male in inglese, e tuttavia la parola equivalente più comune, bittersweet, inverte i termini del composto di Saffo, «γλυκύπικρον».
Dovrebbe interessarci? Se la disposizione dei termini presenta intenti descrittivi, allora qui si sostiene che l’eros comporti prima la dolcezza, poi l’amarezza, esattamente in questo ordine:
Saffo starebbe ordinando le conseguenze dal punto di vista cronologico. L’esperienza di molti amanti potrebbe confermare una cronologia simile, specialmente in poesia, dove l’amore finisce
perlopiù male. È improbabile, però, che Saffo avesse queste intenzioni. I suoi versi si aprono collocando la situazione erotica in una drammatica dimensione temporale («δηὖτέ») e fissano l’azione nel tempo presente dell’indicativo («δόνει»). Non sta quindi documentando la storia di una relazione amorosa, ma un istante del desiderio. Un istante che vacilla sotto la pressione dell’eros; uno stato mentale che si scinde. Mette in scena la simultaneità di piacere e dolore. L’aspetto piacevole è nominato per primo, possiamo presumere, perché è quello meno sorprendente. L’accento però è posto sull’altro lato del fenomeno, quello problematico, i cui attributi si susseguono in una grandine di morbide consonanti. Eros si muove insinuante verso la sua vittima, da qualche parte, là fuori, «ὄρπετον». Nessuna resistenza consente di respingere una simile avanzata, «ἀμάχανον». Il desiderio non è, quindi, né abitante né alleato di chi desidera. Estraneo alla sua volontà, si impone irresistibilmente dall’esterno. L’eros è un nemico. Quell’amarezza deve essere il sapore dell’inimicizia. Ovvero l’odio.
«Amare i propri amici e odiare i nemici», è la ricetta arcaica per ogni risposta morale. Amore e odio sono l’impalcatura di ogni relazione tra esseri umani. Ha senso provare a localizzare entrambi i poli di questo sentimento all’interno dello specifico evento emotivo dell’eros? Presumibilmente sì, se amico e nemico convergono nell’essere che ne è l’occasione. La convergenza crea un paradosso, quasi un cliché per la moderna immaginazione letteraria. «E l’odio comincia laddove finisce l’amore», sussurra Anna Karenina, mentre si dirige alla stazione di Mosca, e verso la soluzione al dilemma del suo desiderio. In effetti, il paradosso erotico è un problema che precede lo stesso Eros. Lo troviamo rappresentato per la prima volta sulle mura di Troia, in una scena che vede protagoniste Elena e Afrodite. Lo scambio è tagliente come un paradigma. Nell’Iliade, Omero ci mostra Elena, incarnazione del desiderio, stanca delle imposizioni dell’eros, nell’atto di disobbedire a un ordine di Afrodite, che le ingiunge
di asservirsi al letto di Paride. La dea dell’amore le risponde irata, brandendo il paradosso erotico come un’arma:
«Μή μ᾽ ἔρεθε σχετλίη, μὴ χωσαμένη σε μεθείω,
τὼς δέ σ᾽ ἀπεχθήρω ὡς νῦν ἔκπαγλ᾽ ἐφίλησα».
« Damn you woman, don’t provoke me. I’ll get angry and let you drop!
I’ll come to hate you as terribly as I now love you! ».
«Donna dannata, non provocarmi. Mi arrabbierò e ti abbandonerò!
Finirò per odiarti terribilmente, così come ora ti amo!».
Elena obbedisce immediatamente; la combinazione di amore e odio dà vita a un nemico irresistibile. La simultaneità di amaro e dolce, che ci fa trasalire nell’aggettivo di Saffo, «γλυκύπικρον», è resa in maniera ben diversa nel poema omerico. Secondo le convenzioni dell’epica, gli stati d’animo dovevano essere resi in una rappresentazione dinamica e lineare, così che la scissione della mente potesse svilupparsi in una sequenza di azioni antitetiche. Omero e Saffo, tuttavia, concordano nel presentare la divinità del desiderio come un essere ambivalente, allo stesso tempo amichevole e ostile, tanto da plasmare l’esperienza erotica attraverso questo paradosso emotivo.
Eros si presenta come un’unione paradossale di amore e odio anche in altri generi letterari e in altri poeti. Nella commedia “Le rane”, Aristofane, per esempio, ci dice che Alcibiade, seducente
e giovane libertino, era in grado di ispirare nel δῆμος greco un sentimento simile alla passione di un amante:
«Ποθεῖ μέν, ἐχθαίρει δέ, βοῦλεται δ᾽ ἔχειν».
« For they love him and they hate him and they long to possess him ».
«Perché lo amano e lo odiano e desiderano possederlo».
Nell’”Agamennone” di Eschilo, Menelao è descritto mentre vaga nel palazzo che la partenza di Elena ha lasciato vuoto. Le stanze sembrano infestate dalla presenza della donna; nella loro
camera, Menelao si ferma e grida alla vista dei «solchi d’amore nel letto». Non c’è dubbio che egli nutra del desiderio («πόθῳ»), ma l’odio si insinua dentro di lui a riempire il vuoto («ἔχθεται»):
«Πόθῳ δ᾽ ὑπερποντίας
φάσμα δόξει δόμων ἀνάσσειν·
εὐμόρφων δὲ κολοσσῶν
ἔχθεται χάρις ἀνδρί,
ὀμμάτων δ᾽ ἐν ἀχηνίαις
ἔρρει πᾶς Ἀφροδῖτα».
«Because of his longing for something gone across the sea
a phantom seems to rule the rooms,
and the grace of statues shaped in beauty
comes to be an object of hate for the man.
In the absences of eyes
all Aphrodite is vacant, gone».
«A causa del suo desiderio per qualcosa che è andato oltre il mare
un fantasma sembra regnare su quelle stanze,
e la grazia delle statue scolpite nella bellezza
diventa per l’uomo oggetto di odio.
In mancanza degli occhi
tutta Afrodite è assente, andata».
Amore e odio forniscono un soggetto da esplorare anche alla poesia epigrammatica ellenistica. L’ingiunzione di Nicarco all’amante, dall’Antologia palatina, ne è un esempio tipico:
«Εἴ με φιλεῖς, μισεῖς με· καὶ εἰ μισεῖς, σὺ φιλεῖς με·
εἰ δέ με μὴ μισεῖς, φίλτατε, μή με φίλει».
« If you love me, you hate me. And if you hate me, you love me.
Now if you don’t hate me, beloved, don’t love me ».
«Se mi ami, mi odi. E se mi odi, mi ami.
Ora se tu non mi odi, amore, non amarmi».
L’epigramma di Catullo è forse il più elegante distillato di questo cliché:
« Odi et amo, quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior ».
« I hate and I love. “Why?”, you might ask.
I don’t know. But I feel it happening and I hurt ».
«Odio e amo. “Perché?”, potresti chiedere.
Non lo so. Ma lo sento accadere e ne soffro».
I poeti greci della tradizione lirica antica a volte concettualizzano la condizione erotica in modo altrettanto netto, ma Saffo e i suoi successori, in generale, preferiscono la fisiologia ai concetti astratti. Il momento in cui l’animo si scinde in due nel desiderio è concepito come un dilemma del corpo e dei sensi. Per la lingua di Saffo, lo abbiamo visto, è un momento amaro e dolce. Questo gusto ambivalente si sviluppa, nei poeti successivi, stando all’”Antologia palatina”, in espressioni come «miele amaro», «dolce ferita» ed «Eros dalle dolci lacrime». In una poesia di Anacreonte, Eros stordisce un amante con vampate di caldo e di freddo:
«Μεγάλῳ δηὖτέ μ᾽ Ἔρως ἔκοψεν ὥστε χαλκεὺς
πελέκει, χειμερίῃ δ᾽ ἔλουσεν χαράδρῃ».
« With his huge hammer again Eros knocked me like a blacksmith
and doused me in a wintry ditch ».
«Con il suo enorme martello Eros di nuovo mi ha battuto come un fabbro
e mi ha immerso in una forra invernale».
Sofocle, invece, paragona l’esperienza erotica a ghiaccio che si scioglie tra mani calde. I poeti successivi amalgamano le sensazioni di caldo e freddo con metafore relative al senso del gusto
per coniare espressioni come «dolce fuoco», definendo gli amanti «bruciati dal miele» e i dardi erotici «temperati nel miele». Ibico inquadra l’eros in un paradosso di umido e secco, perché il
cupo temporale del desiderio porta non pioggia, ma «brucianti follie». Questi topoi possono trovare le proprie fondamenta nelle antiche teorie della fisiologia e della psicologia, secondo le quali l’azione piacevole, desiderabile o buona, è associata a sensazioni di calore, liquidità e fusione, mentre l’azione odiosa o spiacevole è associata al freddo, al gelo e all’irrigidirsi.
Ma in questo modo non si può tracciare una semplice mappa delle emozioni. Il desiderio non ha nulla di semplice. In greco l’atto d’amore è un’ibridazione e il desiderio scioglie le membra («λυσιμέλης», in Saffo). Si confondono i confini del corpo, le categorie del pensiero. Il dio che scioglie le membra fa anche a pezzi l’amante come farebbe un nemico sull’epico campo di
battaglia. In Archiloco:
«Ἀλλά μ᾽ ὁ λυσιμελὴς ὦταῖρε δάμναται πόθος».
« Oh comrade, the limb-loosener crushes me: desire ».
«Compagno, lo scioglitore di membra mi schiaccia: il desiderio».
La dimensione dell’amore e dell’odio è esperibile, quindi, in una varietà di crisi sensoriali. Ogni crisi richiede decisione e azione, ma la decisione è impossibile e l’azione diventa paradosso
quando l’eros stimola i sensi. La vita quotidiana può diventare difficile; i poeti parlano delle conseguenze dell’eros sul comportamento e sul giudizio degli uomini.
«Οὐκ οἶδ᾽ ὄττι θέω· δίχα μοι τὰ νοήμματα».
« I don’t know what I should do: two states of mind in me ».
«Non so cosa dovrei fare: due stati d’animo in me».
Così dice Saffo, e si interrompe.
«Ἐρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω
καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι».
« I’m in love! I’m not in love!
I’m crazy! I’m not crazy! ».
«Sono innamorato! Non sono innamorato!
Sono pazzo! Non sono pazzo!».
Esclama Anacreonte. E Meleagro, secondo l’”Antologia palatina”:
«Ἐξ οὗ δὴ νέον ἔρνος ἐν ἠϊθέοις Διόφαντον
λεύσσων οὔτε φυγεῖν οὔτε μένειν δύναμαι».
« When I look at Diophantos, new shoot among the young men,
I can neither flee nor stay ».
«Quando guardo Diofanto, nuovo germoglio tra i giovani,
non posso né fuggire né restare».
«Il desiderio continua a spingere l’amante ad agire e a non agire», è la conclusione di Sofocle. Non è soltanto l’azione a naufragare. Anche la valutazione morale si frantuma sotto la pressione del paradosso, scindendosi, allo stesso tempo, in qualcosa di buono e di cattivo. Eros, nell’”Ifigenia in Aulide” di Euripide, brandisce un arco dal doppio effetto, che può condurre a una vita piacevole o alla completa rovina. Euripide azzarda addirittura uno sdoppiamento del dio dell’amore: due Eros compaiono in un frammento di una sua opera perduta, la Stenebea. Uno dei due guida l’amante lungo una vita virtuosa. L’altro, al contrario, è il suo peggior nemico e lo conduce direttamente alla casa dei morti. L’amore e l’odio rendono Eros bifronte.
Ma torniamo alla domanda da cui siamo partiti: qual è il significato dell’aggettivo di Saffo «γλυκύπικρον»? Dal nostro esame dei testi poetici è emerso un intero contesto. Eros il dolceamaro è colui che colpisce la pellicola che l’amante ha nella mente. Il paradosso è ciò che prende forma sulla lastra sensibile della poesia. Da un’immagine al negativo si possono sviluppare immagini in positivo. Se inteso come un dilemma di sensazioni, azioni o valori, l’eros si imprime come un fatto contraddittorio: amore e odio convergono nel desiderio erotico.
Perché?