Eugenio Montale, Quaderno di traduzioni

da | Set 3, 2021

Appena uscito per “Lo Specchio” Mondadori il “Quaderno di traduzioni” di Eugenio Montale, con introduzione di Enrico Testa. Proponiamo una scelta di cinque versioni. 

 

da William Shakespeare

Sonetto XXII

Allo specchio, ancor giovane mi credo
ché Giovinezza e te siete una cosa.
Ma se una ruga sul tuo volto io veda
saprò che anche per me morte non posa.
Quella beltà che ti ravvolge è ancora
parvenza del mio cuore che nel tuo
alberga – e il tuo nel mio –; e come allora
decidere chi è il vecchio di noi due?
Poni in serbo il tuo cuore, ed io lo stesso
farò di me: del tuo così zelante
come fida nutrice in veglia presso
la cuna, che ogni morbo stia distante.
Spento il mio cuore, invano il tuo riprendere
vorresti: chi l’ha avuto non lo rende.

 

da Emily Dickinson

Tempesta

Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo:
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba di ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!

 

da W.B. Yeats

L’indiano all’amata

L’isola sogna sotto l’alba,
dai grandi tronchi stilla la pace;
sul prato liscio danzano i pavoni,
un pappagallo dondola su un ramo
e s’infuria specchiandosi in un mare di smalto.

Amarreremo qui la barca vuota,
con le mani intrecciate errando a lungo,
bocca su bocca mormorando teneri
tra l’erbe, tra le sabbie, susurrando
che le terre inquiete sono troppo lontane.

Come soli restiamo fra i mortali,
in disparte, celati fra le grandi ramure,
mentre dal nostro amore si esprime un astro indù,
una meteora dal bruciante cuore,
unita alla marea che luccica, alle ali
che scintillano e razzano,

alle rame pesanti, alla scura colomba
che geme e che sospira cento giorni;
e come vagheranno, quando saremo morti,
le nostre ombre, la sera sui sentieri felpati
smorzando coi passi aerei il sonno abbagliante dell’acque.

 

da T.S. Eliot

Animula

“Lascia la mano di Dio la semplice anima” e volge
a un piatto mondo di luci mutevoli e di rumore,
al chiaro, al buio, all’asciutto o all’umido, al fresco o al caldo;
s’indugia tra le gambe delle sedie e dei tavoli,
alzandosi o cadendo, baci afferrando o gingilli,
s’avanza franca, poi s’allarma subito,
si rifugia nell’angolo di un braccio e d’un ginocchio,
pronta a rassicurarsi, a rallegrarsi
del fragrante lucore che dà l’albero
di Natale, del vento e del sole e del mare;
sul pavimento scruta il trapunto dei raggi,
intorno a una sottocoppa d’argento una fuga di cervi,
verità e fantasia scambia e confonde,
carte da gioco e re e regine l’appagano,
ciò che fanno le fate, ciò che dicono i servi.
Il pesante fardello dell’anima che cresce
è sempre maggiore imbarazzo e offesa di giorno in giorno,
di settimana in settimana, è offesa
d’imperativi – l’essere e il parere,
il si può, il non si può, il desiderio e il possesso.
Pena di vita e narcotico di sogni torcono l’anima
piccoletta che accanto alla finestra
siede al riparo dell’Enciclopedia Britannica.

Lascia la mano del tempo la semplice anima, incerta
ed egoista, storta e zoppicante,
incapace di starsi avanti o indietro,
teme la realtà calda, l’offerto bene,
rifiuta il sangue come un importuno,
ombra delle sue ombre e spettro del suo buio,
disperde le sue carte tra buio e polvere
e comincia la vita nel silenzio che segue il viatico.

Prega per Guiterriez, avido di successo e di potere,
e per Boudin ch’è crollato,
per chi s’è fatto ricco e chi ha tirato
per la sua strada; prega per Floret che i segugi
sbranarono fra gli alberi di tasso; per noi prega
ora e nell’ora della nostra nascita.

 

da Dylan Thomas

Quinta poesia

La forza che urgendo nel verde calamo guida il fiore,
guida la mia verde età; quell’impeto che squassa le radici degli alberi

è per me distruzione.
E muto non so dire alla rosa avvizzita
che questa febbre invernale piega anche la mia giovinezza.
La forza che guida l’acqua tra le rocce,
guida il mio rosso sangue; quella stessa che asciuga le sorgenti che gridano,

le mie raggruma;
e son muto a gridare alle mie vene
che a quell’alpestre polla succhia la stessa bocca.
La mano che mulina l’acqua dentro alla pozza
sommuove il fondo limo; quella che lega i vènti, ora il sudario

della mia vela spinge.
E sono muto a dire all’impiccato
quant’è della mia argilla in chi lo impicca.
Le labbra del tempo lambiscono dove la fonte fa vena;
goccia l’amore, gonfia, ma il sangue che cade, di lei

addolcirà le pene.
E sono muto a dire al soffio che si leva
che paradiso è scandito dal tempo intorno alle stelle:
muto a dire alla tomba dell’amante
che sul mio letto appare lo stesso verme aggrinzito.