Pasolini in esergo è una specie di monito: «Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori». Si apre così il sipario su L.O.V.E (Il Saggiatore), romanzo fiume di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, che in questo libro dà vita a un’epopea romanzesca contemporanea in grado di avventurarsi ed esplorare gli abissi della società globale capitalista, dalle origini del passato recente fino a un presente-presente. Molto tempo fa, un caro amico psicoanalista, mi disse che il mondo si divide in due categorie di persone: da una parte chi ha letto Don Chisciotte e dall’altra chi non l’ha letto. Leggere – in quel caso e sempre, aggiungo – non è solo inanellare una parola in fila all’altra (così come non lo è scrivere, che’ diversamente basterebbe utilizzare il dizionario per essere scrittori). Nella lettura vive la stessa profonda differenza che passa tra sentire e ascoltare. Nel caso di Don Chisciotte si parlava, nello specifico, della contrapposizione tra sognatori idealisti e cinici materialisti. Questa contrapposizione torna utile per meglio comprendere Giordano Giordano, il nostro protagonista, figlio di Italo, capostipite non solo di una famiglia, ma di un impero: la Sunrise. L.O.V.E. è l’acronimo di Libertà, Odio, Vendetta ed Eternità. Il libro è una saga famigliare molto ampia, in cui ritroviamo una fedele rappresentazione delle trasformazioni socio-economiche avvenute negli ultimi 40 anni (e non a caso il libro è tra i cinque finalisti della 20esima edizione del Premio Biella Letteratura e Industria – Vent’anni di racconti d’impresa, «per la capacità di interpretare i meccanismi e le leggi che regolano il sistema produttivo e il cambiamento culturale e antropologico del Paese»). L’ambivalenza è la caratteristica che descrive lo sdoppiamento di Giordano, da una parte discendente di suo nonno, uomo etico, generoso, di valore, dall’altra erede destinato, non designato, immune all’attrazione per la ricchezza e figlio di una fatalità che lo mette alla prova della ricchezza a causa della scomparsa del padre e (prematuramente) del fratello primogenito Isacco (che sarebbe stato più adatto a guidare l’impero di famiglia): «Non ho mai amato mio padre, nemmeno per un giorno», dice Giordano, mettendo in ballo molto più di un’eredità economica. Si gioca su questa polarità il suo personaggio, nato «mezzo bene e mezzo male», ambiguo come ciascuno di noi (è facile l’immedesimazione), tentato e affascinato da una parte, disgustato dall’altra, cinico e scostante, sensibile e appassionato, oscillante nella sua determinazione alla ricerca di un cambiamento per un mondo migliore e inglobato in un ingranaggio da cui nessuno esce innocente. L.O.V.E. è un libro che prova nella sua ampiezza a raccontare una congiuntura contemporanea: l’elemento che tutto unisce e tutto può è il denaro, interlocutore di una società pervasa in ogni suo aspetto e nella quale il contratto sociale è oramai definitivamente saltato. Il romanzo ha poi anche una consistente parte centrale che approfondisce il capitalismo nella sua narrazione più storica, dagli anni del fascismo in avanti, raccontando la storia di una, dieci, cento famiglie tutte uguali di quegli anni che – in qualche modo – ce l’hanno fatta (se farcela significa davvero qualcosa). In questa geografia del potere, l’energia del denaro è quasi religiosa, come biblici (e metaforici) sono i nomi dei personaggi. Metaforico è anche il peso di Giordano, ovvero la sua obesità non solo esteriore, ma interiore e portatrice di cattiveria (quasi endemica), rendendolo represso in un narcisismo in potenza, deluso dalle apparenze, vendicativo, seppur donchisciottesco (e forse anche dostoevskiano) nel senso più ideologico del termine, ovvero non ancora arreso al mondo così com’è, o come appare. L.O.V.E., infine (ma anche, in un certo senso, in principio), è un acronimo, le cui iniziali raccontano quattro parole chiave che descrivono perfettamente il contesto in cui è immersa la storia. Quattro parole che, però, possono essere intercambiate, a corredo di un altro livello che, trasversalmente, possa alternare orizzontale e verticale della lettura, aprendo a possibilità altre, sfide, idee, spunti.
L di Libertà, ma anche di Lingua
D’Arcangelo non scrive solo un libro, ma un percorso letterario, un progetto che combina prosa, saggio erudito, precisione del lessico, lirismo, dialoghi fulminanti e tridimensionalità del racconto; il tutto condito da un io narrante sfaccettato e da una moltitudine di “cose”, un accumulo di oggetti e di onnipresenza del denaro come vero e proprio personaggio del racconto. Il suo non è propriamente un romanzo di trama, da raccontare in poche parole per farne capire i confini, ma un romanzo di «dilatazione», come lo definisce lo stesso D’Arcangelo in un’intervista. In quello spazio dilatato e in quelle parole diluite, non c’è annacquamento ma arricchimento, perché come diceva Perec, «lo spazio comincia così, solo con delle parole» e «vivere è passare da uno spazio all’altro cercando di non farsi troppo male». La libertà di D’Arcangelo e di L.O.V.E. si esprime allora proprio a partire dalla lingua e dal coraggio di avventurarsi in un luogo dove il lettore si è trovato raramente, non ci sono paletti e i confini sono sbordati.
O di Odio, ma anche di Obesità
L’obesità fagocita tutto. È obeso Giordano, il suo nome che si ripete nel cognome (Giordano Giordano), il libro stesso (847 pagine), ma soprattutto è obeso il mondo in cui viviamo. Un mondo di sovrapproduzione, sovraesposizione e sovrapposizione non necessarie, di spreco delle risorse del pianeta, dell’intero sistema, che si regge sull’ossessione a fare sempre di più, arricchirsi sempre più e dimenticare il resto, ignorare le percentuali segnate dalle disuguaglianze del mondo. È obesa persino la personalità sdoppiata di Giordano; non una sola, ma due: «assassino e buono», per citare il Pasolini di cui sopra; un Giordano incontentabile e spropositato, fluviale e irrisolto. Questa obesità porta all’odio, all’invidia, alla rabbia e alla non aderenza dello stato d’animo con lo stato delle cose, allo scollamento dell’essere sull’avere, sino al possesso che infine possiede.
V di Vendetta, ma anche di Verità
L.O.V.E. è un libro vero. Racconta un’epoca olivettiana e l’avanzare della tecnologia in rapporto al denaro. Il denaro ha una caratteristica: passa di mano in mano. Racconta storie di povertà e ricchezza, agio e disagio. Il punto di vista del denaro è un luogo privilegiato per il racconto di ciò che siamo come uomini; un po’ come i muri delle case, che contengono e conservano le storie più intime (e infime, talvolta) di chi li ha abitati. Ce lo hanno mostrato le monetine in Araby di James Joyce, in Gente di Dublino, e lo dimostra la ricchezza accumulata dalla patriarcale (Jessica, la sorella, e Lorena, la madre di Giordano, sono personaggi marginali della storia) famiglia Giordano, decadente più di miseria umana, che di miseria sociale.
E di Eternità, ma anche di Eresia
L’ironia salverà il mondo (poiché ironia è – anche – bellezza). Per la stessa ragione ho sempre trovato ironico che escatologia – ovvero ciò che riguarda i destini dell’uomo nell’universo – e scatologia – che ha per argomento lo sterco – fossero si’ distanti per una sola lettera. Lo scarto è tutto lì. Dire eternità significa dire un’eresia. È solo apparenza la permanenza (siamo di passaggio), il denaro (va e viene), il potere (le cui dinamiche sono geometricamente e plasticamente inspiegabili, il più delle volte). La “religiosità” di D’Arcangelo è nella superficie orizzontale, mentre verticalmente il suo è più un profondo discorso di fede. Si dice “credere nel Dio denaro”. Un’eresia appunto, una credenza errata, un falso mito come è il progresso che ci viene venduto ogni giorno e ci fa credere di poter spostare ancora un po’ più in là l’asticella, dimenticando infine quanto male può fare una caduta da così in alto. Soprattutto se non ci salva nemmeno più l’amore.
Eugenio Giannetta, nato a Torino nel 1986, è autore e giornalista. Laurea in Lettere e Master in comunicazione sociale con relazione finale sul rapporto tra etica e comunicazione. Dal 2016 ha una collaborazione continuativa con le pagine culturali di Avvenire. Collabora inoltre come consulente per la comunicazione con varie realtà editoriali e del Terzo settore. Suoi articoli appaiono e sono apparsi su numerosi siti e riviste tra cui Vanity Fair, Harper’s Bazaar, Minima e Moralia, Esquire, Elle, Marie Claire, Artribune, La Stampa.