A cura di Alice Loda
Barbara Pumhösel è nata in Austria. Nel 1988, dopo essersi laureata in Lingue e letterature straniere presso l’Università di Vienna, si è trasferita in Italia, dove attualmente risiede. Pumhösel è un’autrice translingue. Nella sua opera – che spazia dalla letteratura per l’infanzia alla poesia – utilizza sia l’italiano che il tedesco. Le due lingue, insieme al dialetto delle Prealpi austriache di cui l’autrice è originaria, generano produzioni poetiche sostanzialmente parallele ma che si mantengono in costante e produttivo dialogo, con intersezioni testuali e linguistiche che emergono in filigrana nei testi. Come sottolineato dall’autrice stessa in numerosi interventi, il cambio di lingua che deriva dal trasferimento in Italia intensifica in lei e nei suoi versi la riflessione sul linguaggio e in particolare sulle sue componenti sensuali e materiche. La lingua, guardata, sentita, toccata attraverso il prisma della distanza, diviene così uno strumento fisico di contatto con il mondo, facilita l’emersione di contatti più che umani e favorisce l’affermazione di una visione fortemente anti-antropocentrica. La forma dei testi di Pumhösel è spesso tesa a catturare spazi di trasformazione: zone di sorellanza e sovrapposizione tra umano e non-umano, poesia e corpo, attraversamenti, movimenti sinestetici, tragitti. La selezione che segue è tratta dalle tre raccolte in italiano prugni (Isernia: Cosmo Iannone, 2008), in transitu (Osimo: Arcipelago Itaca, 2016) e Un confine in comune, in uscita proprio in questi giorni presso l’editore Ensemble di Roma.
da prugni (Isernia: Cosmo Iannone, 2008)
(costrizione)
Di mattina sono stanca. Ho scavato
tutta la notte: una tana con cunicoli verso
i dormitori a più di un metro di profondità.
Quando sto per acciambellarmi e coprirmi
con la coda, l’odore di terra svanisce e io so
che devo aprire gli occhi e smettere
di essere volpe.
*
sotto la pergola un ramo
ha puntato una sua foglia
rossa sangue a cinque punte
contro la mia gola
mentre
alzandomi stavo per pensare
le solite cose
sulle foglie che muoiono
*
Ursprung
alcune frasi in Jiddish
ascoltate quasi per caso
mi riportano indietro
in un ripido bosco di abeti
mi tengo dì nuovo aggrappata
alle radici nella neve
e avanzo gattoni
alla ricerca dell’elleboro
ho mani fredde e perso un guanto
e la voce della vecchia tata
al primo fiore trovato
riecheggia
nelle parole di oggi
il dialetto – talvolta –
è più generoso della lingua
accoglie
da in transitu (Osimo: Arcipelago Itaca, 2016)
(meteorografie)
Fino all’imbrunire
con polpastrelli ghiaccioli
ho continuato a tracciare
orme di scoiattolo
sulla neve
della memoria
quando all’improvviso
ho sentito annunciare
perturbazioni, venti caldi
e pioggia. Ma per ora –
e per fortuna – piove
soltanto fuori.
*
(still life)
sulla tela
di una natura morta
ho trovato
un’alzavola ancora viva
con lo specchio delle ali
intatto e adagio e attenta
l’ho portata
in salvo verso un’altra
lingua
da Un confine in comune (Roma: Ensemble, 2021)
(ricordo blu)
qualcuno deve aver mescolato
del blu cobalto fra le nevi sul campo
lo ha distribuito in modo equo
uniforme
i cristalli ghiacciati ora
disperdono la luce e lo spettro solare
si trasforma in fantasma notturno
era freddo prima
sono arrivata tardi
ma il gelo aspetta paziente
per annidarsi
nella parte dolente del colore
*
(sunday morning)
tolto il bendaggio
rimossi i punti
mi avvicino
alla cicatrice nuova
con le punte delle dita
la osservo la contemplo
la studio senza sfiorarla
e poi la trascrivo
*
devi chiudere gli occhi
così i pianeti si avvicinano
creano disegni che brillano
non più disastri la luce è dentro
di noi – dicono – mentre tu pensi
al buio come cornice
a una miniera dove
la fiammella sta ad indicare
ciò che resta dell’ossigeno