Cinque poesie da Somiglianze di famiglia di Matteo Pelliti, Edizioni Industria&Letteratura, 2021.
Essi
Essi, loro i pronomi della lontananza,
della distanza, della genealogia, della progenitura,
gli antenati, gli spettri evocabili,
avi, trisavoli,
siamo noi i loro fantasmi possibili,
noi evocati dall’anteriorità, noi
posteriori, prodotti ultimi e provvisori.
Essi, loro, i bisnonni ci chiamano al mondo
col loro casuale intreccio
di matrimoni, partenze, stanzialità.
Una danza onomastica ha variato
le doppie nei cognomi
per identità affidate all’udito dell’ufficio anagrafe.
Noi, discendenti imprevedibili.
Nella camicia bianca di Mario Agostino
Antifascista, anarchico, operaio dell’arsenale,
scampato ai rastrellamenti nazisti
nascosto dentro un tronco d’albero,
in quella camicia bianca vedo il candore
di chi stava dalla parte del giusto
e la forza silenziosa, umile, santa
di chi in quegli anni post bellici
ha ricostruito il nostro paese,
i tessuti muscolari della democrazia,
della convivenza civile, del diritto.
La Liberazione è una camicia bianca,
è amore del luogo dove sei nato,
è forza umile e silenziosa e santa.
Rivedo la mia stempiatura esatta
in quella di mio nonno, il programma genetico
che prosegue, si attiva, prende corso, si replica,
e la posterità che io sono come un replicare
(siamo replicanti quindi?
«Vecchiaia – inizia il grande Mimetismo», direbbe Valerio)
ma nella somiglianza di postura,
di espressione si demarca in me
uno scarto, una distanza: sono consapevole
di non avere affatto la forza di mio nonno;
stavo per scrivere l’integrità di mio nonno,
ma temevo che la parola potesse contenere troppo
il riverbero di un giudizio morale
(perché è sempre difficile parlare male di se stessi, in fondo)
ma integrità è la parola giusta
per indicare la corrispondenza esatta
tra vita interiore e vita esteriore,
tra valori e azioni.
VOI
E i tuoi genitori?
Prevengo qui una domanda
che a un certo punto potrebbe
rivolgermi il lettore come io
l’ho rivolta a me sistemando queste carte,
cioè trascrivendo il quadernetto
nero dove sta scritto, in tedesco,
sul frontespizio una data – da agosto 2017 –
e una parola, Familienähnlichkeiten
(«Somiglianze di famiglia»)
e dove un “VOI” ricorrente nelle pagine
era destinato, originariamente,
a indicare voi, i miei genitori.
Dialogare con voi su carta
è più difficile che investigare gli avi,
navi di carta nei ritratti appesi
in color seppia, più agevole
rivolgermi loro piuttosto che a voi,
che potete chiedermi conto o chiarimento.
Non so, mi verrebbe da dire
che troppo passato ci ingolfa
ancora gli abbracci
e che mi spiace di non riuscire
a restituirvi tutto l’aiuto
che mi avete dato.
Il dovere della discontinuità
Si apre per noi, Sara,
col tuo arrivo, la possibilità,
o almeno il tentativo doveroso,
di non tramandare
gli sbagli, i vizi, i tratti, i tic
che noi riconosciamo
essere stati i batteri delle nostre famiglie.
Tu ci dirai, può darsi, dopodomani,
che nuovi inciampi, originali,
nuove colonie infettive,
saremo stati capaci di produrre,
amandoti,
ma intanto oggi
siamo consapevoli
che questo ti dobbiamo:
fermare i virus silenti
che viaggiano indisturbati, e volentieri,
lungo gli alberi genealogici
(ansie, paure, ipocondrie,
pessimismi, sfiducie,
infelici meditazioni sul Sé
e sul Mondo, scetticismi vari…)
Compito nostro
è l’essere antibiotici
e setaccio di famiglie:
ri-tramandarti il Bene
fermando la coazione al peggio.
La canoa delle cinque del mattino
Da quelle piastre magnetiche,
la tua pancia sulla mia, di notte
tra le cinque e le sette,
non so quali sogni scaturiscano,
da quel contatto, immagini
simili ad aurore boreali,
dal respiro della cassa toracica
che ti fa da amaca
e ti solleva a ogni fiato,
ma sono certo che qualcosa cambia
nella pellicola onirica quando
mi dormi addosso
e mi addormento come fossi
una canoa per il tuo sonno
nel fiume del sonno.
Immagine: Lorna Simpson, Please remember me who I am.