Tre poesie da Il passo dell’obbedienza di Laura Corraducci, Moretti&Vitali, 2020.
a Tadeusz Pankiewicz, farmacista polacco del ghetto di Cracovia che scelse di rimaner nel ghetto fino alla fine, portando aiuto e rischiando la propria vita durante le atroci fasi del rastrellamento. La sua farmacia aveva nome “All’Aquila”
mio padre aveva una farmacia all’angolo
dove l’aquila dall’alto spiegava le sue ali
e vedeva uomini e donne fermi in piedi coi soldati
le madri stringersi i seni nei vestiti
i vecchi quelli venivano per primi
soli con i volti allungati delle capre
e il cielo caricato tutto sulla schiena
poi le donne con i capelli legati alle forcine
il velo delle lacrime strappato via dagli occhi
i bambini non avevano il permesso di gridare
una striscia di universo che cadeva obliqua sulla piazza
solo qualche sparo ogni tanto a coprire le voci
e mio padre ogni mattina sistemava bene i suoi composti
le stelle Dio le ha portate via dal firmamento
adesso brillano tutte sulla lana dei cappotti
e “in quelle” mi diceva “ci dobbiamo rispecchiare”
a mio nonno Giuseppe Corraducci, partigiano, mai conosciuto sulla terra
i sentieri che attraversi non portano segnali
la rotta l’hai cambiata nel percorso
si impara l’immobilità dai boschi
a sigillarsi il cuore nella canna di un fucile
a dimenticarsi il nome dentro un fazzoletto
quanti alberi hai visto corteggiarti le mani
seguirne il pulsare lungo le vene
e quando il buio ti veglia le spalle
cadi in ginocchio davanti alla notte
per sentire odore di figlio sulla corteccia
e l’alito dolce di lei che in gola scende
insieme al sonno ed al tabacco
la poesia è ispirata a una storiella (three moon rankers) legata a un piccolo lago in Inghilterra, the Crammer, nella cittadina di Devizes nel Wiltshire, secondo la quale, una notte, tre ladri ubriachi si gettarono nel lago e iniziarono a rastrellarne la superficie convinti che il riflesso della luna sull’acqua fosse, in realtà, una pentola piena di monete d’oro
è volata in acqua col suo tesoro
indietro non si è voltata mai
e noi qui ad incidere il lago tutta notte
con il ferro del freddo e della birra
a tentare di graffiare via la sua ricchezza
tenerla stretta sotto le unghie di straccioni
leccarla via prima che l’alba ci sorprenda
a sentire di nascosto il sapore che ha l’oro
quando scioglie fra la polvere dei denti