Il mistero mi sembra improvvisamente chiaro il martedì mattina, nella chiesa Omnium Sanctorum, su calle Feria, una delle strade di Sevilla che amo di più, e non solo perché qui nacque il torero che ha cambiato la corrida moderna, Juan Belmonte, prima di spostarsi a vivere la sua infanzia di povertà a Triana, oltre il Guadalquivir. Calle Feria è ancora la Sevilla popolare, per quanto possa esserlo oggi una via del centro storico, e per questo, per questa sua resistenza alla modernità, mi attrae e non mi lascia scampo. Il sole ha rotto un cielo cupo, ma tutte le previsioni annunciano pioggia e la confraternita di Los Javieres è in subbuglio. In questo momento, anche i “fratelli” delle altre sette “hermandades” che dovrebbero sfilare in città si riuniscono per decidere le sorti della processione a cui lavorano da trecentocinquanta giorni. In chiesa, uno dei più anziani scuote il capo e alza gli occhi verso un cielo immaginario. Mi racconta che questo, da tre anni, è un giorno stregato. La pioggia tortura, sconvolge, e annienta il martedì santo. Tanto che le “hermandades” si sono viste negare ogni volta la possibilità di portare in giro i loro “pasos”. Così, come per consolarsi, mi fa da guida a conoscere i misteri. “I misteri del Cristo e della Vergine. El Crucificado prima di tutto” mormora, citando tal Manuel Calvo, l’artista che realizzò il Cristo morente sulla croce in stile neobarocco. Snocciola i nomi di gente che ai suoi occhi dovrebbe essere notissima ovunque. Barbero, per esempio, che rifinì le miniature di angeli disposte tutto attorno alla base del “paso” . Poi Ramòn Leòn che vent’anni fa rifece la corona della Vergine. Un certo Paleteiro che lui ricorda benissimo all’opera sui ricami in oro del lungo manto della Dolorosa. Cerco di seguire ogni cosa e mentre parla a un certo punto s’illumina e dice “perché sono questi particolari, queste miniature, questi tessuti, tutto questo che vedi qui, ragazzo mio, a rendere vivi i Misteri”.
Eccolo qui, allora, il mistero degli occhi scintillanti e delle lacrime e della commozione e degli sguardi attoniti che seguono i pasos in questi giorni di Sevilla. Improvvisamente mi pare tutto chiaro. Ecco cosa è capitato domenica, quando ho visto il primo Cristo uscire dalla Chiesa come se fosse una specie di parto e stesse tornando in vita, abbandonando la stretta porta per splendere nella luce del sole, mentre dal balcone un uomo ben vestito cantava la sua “saeta”, il flamenco apparentemente improvvisato, un canto di rinascita, di vita sulla morte. Ecco cosa è successo la notte quando ho visto il “paso” dell’Estrella muoversi di fronte alla cappella del Baratillo in calle Adriano. Era un movimento che assecondava perfettamente la musica. Tutto l’immenso “paso” sembrava ondeggiare a piccoli passi verso l’entrata della cappella dove i toreri vanno a pregare prima di sfidare i loro tori nell’arena. Come se il Cristo fosse vivo e tutto insieme alla sua croce si facesse avanti verso la Vergine immobile dentro la cappella e circondata da enormi candele accese. Come se tutto il “paso” avesse paura di andare incontro alla Vergine eppoi, tutto insieme, quando la musica è esplosa, corresse a grandi passi verso la cappella per poi improvvisamente fermarsi. Nuovi ondeggiamenti, passi indietro, piccoli passi indietro, musica lieve eppoi di nuovo un’onda di musica e uno slancio esplosivo del “paso” verso l’entrata del Baratillo. Ecco cosa è stato il lunedì santo, quando ho visto sbucare dall’angolo di Placentines, una strada strettissima poco dietro al cattedrale, il “paso” della Vergine della “Hermandad” del Beso de Judas. La musica era una specie di marcia in lacrime intitolata “Al compas la cera llora”: batteva su un lamento straziante e sembrava esaltare i piccoli movimenti del “paso” nel suo tentativo di sopravvivere alla strettoia, poi batteva ritmi di improvvisa vitalità e rinascita come per assecondare trionfalmente l’uscita della Vergine oltre l’angolo eppoi slanciarsi in un grido di vittoria sulla via più larga a grandi passi pieni di esultanza e gloria.
Il mistero è qui. La vita che vince la morte. La vita di questi enormi teatri che rappresentano scene di dolore e morte e che si muovono come corpi misteriosi per la città, corpi che hanno paura, combattono la disperazione, s’infilano in pertugi impossibili per avere la meglio di ogni ostacolo, splendere alla luce del sole, scintillare alla luce delle candele, entusiasmarsi di una rinascita inspiegabile, esultare della propria vittoria impossibile. Grandi passi, un cammino trionfale, il trionfo che nessun mortale potrebbe mai credere possibile, se non nella vita che è qui, in questo tempo, in queste strade, in questo mondo terreno. Nel gin tonic, nella cerveza spillata ovunque, nelle mandorle salate. Qui è la resurrezione. Nel passare da una parte all’altra della città, sfidando la fine. A volte, celebrando questa rinascita con austerità, silenzio, cupezza. A volte quasi ballando, quasi gridando. Per questo si festeggia. Per questo la festa non può avere fine. E per questo, più tardi, quando scrosci di acquazzoni interminabili sommergono Sevilla, uomini e donne delle confraternite, si abbracciano piangenti. Sono lacrime di morte. Perché i loro “pasos” dovranno aspettare un altro anno per rivivere davvero. Nell’oscurità sepolcrale delle chiese essi continueranno a lasciarsi ammirare, accogliendo i visitatori per mostrare una bellezza artistica e chiamare alla contemplazione e la preghiera. Ma resteranno immobili, abbandonati a una plasticità priva di corpo, priva di carne, spenta, morta. Un’immobilità sacra ma senza la sacralità della vita. E infatti, mentre giro attorno alla bellezza dei “pasos” di un’altra delle confraternite che oggi non hanno potuto attraversare Sevilla, la Santa Cruz, mi accorgo che l’incenso delle chiese sommerge anche l’odore dei mille fiori colti per coronarli e capisco definitivamente quello di cui avevo avuto solo una fugace impressione: l’aspetto dei “pasos” dentro le loro chiese è quello calssico di una sacralità funeraria.
La prima parte del reportage di Matteo Nucci è qui.
La seconda qui.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).