È il 1958 quando Domenico Modugno vince, in coppia con Johnny Dorelli, l’8º Festival di Sanremo con Nel blu dipinto di blu.
Grande escluso di quella edizione è il giovane Tony Dallara, che si presenta con la canzone Come prima, scartata dalla commissione selezionatrice – di cui fa parte niente di meno che Giorgio Caproni – perché troppo singhiozzata, urlata, lontana dalla tradizione del bel canto. In quello stesso anno, cantando «Come prima tu me donnes tant de joie / Que personne ne m’en donne comme toi», Dalida interpreta il pezzo di Dallara in francese, il Brasile vince i mondiali, e lo spogliarello di Aïché Nana, in un ristorante di Trastevere, dà inizio alla stagione della Dolce vita.
Come prima (BAO Publishing, 2014), la prima grande prova di Alfred, fumettista francese ma di origini liguri, parte proprio da qui, dal 1958, quando, in una serata dal cielo incandescente, fuori da una bettola parigina, Fabio e Giovanni si incontrano dopo più di dieci anni.
Fabio ha appena partecipato ad uno degli incontri di box con cui si racimola da vivere, il viso inasprito da una vita da fuggiasco, una sigaretta stretta in una fessura che per anni è rimasta sigillata, una cicatrice sulla fronte, e un occhio nero come la camicia che indossava da ragazzo, nell’Italia fascista.
Giovanni, il fratello minore – tra le mani un’urna con le ceneri di loro padre – chiede a Fabio di accompagnarlo in Italia, di tornare a casa con lui.
Saliti a bordo di una Cinquecento che ha visto tempi migliori, Fabio e Giovanni iniziano un viaggio fatto di silenzi, litigi, confessioni e bicchieri di troppo. Nell’abitacolo della piccola macchina
la polvere, che per anni si è accumulata nella cantina del passato, fluttua e pizzica gli occhi e la gola dei due fratelli diventati ormai estranei.
L’uno è fuggito da un paese dalle strade troppo strette, da una famiglia di cui non si sentiva parte, da un padre che aveva paura delle sue simpatie politiche. «Aspettavo la partenza, da sempre la aspettavo. Non sapevo verso cosa andavo, ma sapevo già che non potevo perdermelo. Un bastimento carico di promesse. Me ne sono ingozzato senza esitare un istante. Avevo diciassette anni… ed è così che sono diventato camicia nera… ma tutto quello che volevo io era l’orizzonte» racconta Fabio a un prete che ha fatto la resistenza, davanti a una bottiglia vino.
L’altro è rimasto, costretto a fare i conti con un senso di vuoto e di improvviso abbandono, con l’ombra ingombrante di un fratello che ha scelto di stare dalla parte sbagliata.
Lungo il viaggio Giovanni passa a trovare Maria, la donna che prima di diventare la madre di sua figlia è stata innamorata di Fabio. Nemmeno per lui sembra esserci ancora perdono: «Quando Fabio se n’è andato hai creduto di dover prendere il suo posto. Ma il peggio era già arrivato e non c’era più niente da salvare, Giovanni. Fabio non è mai tornato e tu non potevi prendere il posto di nessuno. Eri solo un bambino spaventato, come tutti noi».
Fuori dai finestrini della Cinquecento le campagne francesi e poi quelle italiane, i campi dorati affogati di sole, le chiesette diroccate, gli immensi cieli stellati, si susseguono in tavole dai forti contrasti cromatici. Paesaggi, questi, che permettono ai due fratelli, ai lettori, e all’autore stesso di prendere fiato dopo dialoghi intensi e sguardi affilati: «Il viaggio non l’hanno fatto solo i protagonisti, ma l’ho fatto anche io. Ho lavorato quasi due anni su questo libro e durante questi due anni ho avuto bisogno di prendermi delle pause. Sono quelli i momenti in cui ho scelto di prendermi tempo e di guardare il paesaggio».
Colori caldi e colori freddi, giochi di luci e ombre, si alternano rincorrendo le emozioni dei protagonisti, e lo stile di Alfred si evolve con loro, influenzato non solo dalle tavole di colleghi come Cyril Pedrosa e Manuele Fior, ma anche dal cinema italiano degli anni 60 e 70, come nel caso dell’incontro tra Giovanni e Maria, che ricorda la più famosa scena di Una giornata particolare, di Ettore Scola.
Se nel racconto del tempo presente si prediligono i colori vivaci, i flashback sono raccontati con una tricromia pastello che ricorda vecchie fotografie ingiallite dal tempo.
Quando la coscienza di Fabio è alterata dall’alcool, a pochi chilometri da casa, anche il tratto si altera, si deforma. «Di cosa parla la tua storia alla fine dei conti?» gli chiede un cane parlante.
Come prima, vincitore del prestigioso Fauve d’or al Festival internazionale del fumetto di Angoulême. non è altro che la storia del viaggio di Fabio e Giovanni dalla Francia all’Italia, da un presente difficile a un passato che entrambi hanno fatto di tutto per dimenticare, ma è anche un viaggio verso un futuro prossimo incerto, in cui c’è il mare, ci sono le arance, e c’è Nino, il figlio di Giulietta, la loro sorella minore, che aspetta solo di venire al mondo.
Marta Viazzoli (1996) è nata a Roma ma vive a Bologna, dove studia Letterature Comparate. Oltre a scrivere, scrivere e scrivere, coltiva orchidee, prepara dolci e legge fino a notte fonda. È arrivata in semifinale al Premio Campiello Giovani 2017 e in finale al Premio Chiara Giovani 2018, collabora con la casa editrice Mattioli 1885.