Quasi tutti, in particolare gli amanti di fantascienza, conoscono il famosissimo film degli anni ’90 Blade Runner, ma quanti potrebbero dire altrettanto rispetto al capolavoro Dickiano: Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. Io stessa anni fa, prima di leggerlo, ignoravo che si stesse parlando degli stessi temi e che il film fosse stato ispirato proprio da questo libro.
Siamo nel 1992 a San Francisco, una delle poche città ancora abitate della terra: la quasi totalità della
popolazione è migrata nelle colonie extramondo in seguito ad un devastante conflitto nucleare. La storia
inizia con l’arrivo di sei androidi di classe Nexus-6, praticamente indistinguibili dagli esseri umani, e mentre
Deckard, uno dei protagonisiti, si mette sulle loro tracce per intascare la taglia sulle loro “teste cibernetiche”, sua moglie sta affogando in una profonda depressione, come molti altri umani che hanno deciso di restare su un pianeta terra ormai devastato sotto ogni punto di vista.
Il contrasto tra gli umanoidi, che manifestano caratteristiche e facoltà mentali sempre più umane, e il progressivo decadimento delle analoghe facoltà negli stessi umani, è il vero protagonista della vicenda. Per sfuggire alla devastazione del pianeta e a quella personale, la moglie di Deckard si appoggia completamente al modulatore di umore, un dispositivo che le permette di sopravvivere, rendendola via via più simile agli androidi tanto temuti ed odiati. In questa cornice, le certezze di Deckard iniziano via via a crollare.
L’interrogativo chiave dell’opera è: cosa ci rende davvero umani? Questo interrogativo spinge il lettore a porsi la stessa domanda e a trovare le sue risposte. Inoltre mette in luce un altro dei temi fondamentali del libro, fortemente profetico: il falso e il reale che si confondono e si contagiano l’un l’altro, argomento che la società attuale conosce fin troppo bene, pur tentando spesso di anestetizzare tale consapevolezza. Se poi si pensa che Dick ha scritto questo libro diversi anni fa, è facile comprendere la sua sensibilità nell’osservare il mondo che lo circondava, e come è possibile, compiendo uno sforzo critico, rintracciare nella nostra quotidianità i segnali di futuri non auspicabili.
Non è un testo leggero, nel suo scandagliare le profondità nascoste dell’animo umano, soprattutto per chi non è avvezzo al genere, ma è uno spaccato di umanità non troppo distante da quella attuale. La riflessione su tali problematiche non è soltanto materia per la fantascienza, ma ha coinvolto strettamente tanto la scienza quanto la filosofia, le quali continuano a dibattere, in cerca di una risposta ai quesiti etici, difficile da trovare. Forse la soluzione potrebbe stare nell’abbattimento tra il dualismo tra ciò che è umano e ciò che non lo è, tra un noi e un loro, lasciando spazio ad un terzo punto di vista, tanto nel confine tra umano e robotico quanto per tutta un’altra serie di confini e divisioni che affliggono la società contemporanea.
Consiglio di leggere questo libro, agli appassionati del genere e non, insieme ad altri capolavori dello stesso autore, come La svastica sul sole e Ubik, che io stessa ho deciso di recuperare proprio di recente.
Francesca Giovannetti è una bookstagrammer. Su Instagram la trovate come beyondthebookingglass