Nel 2016 Annie Ernaux ha pubblicato, con il prestigioso editore Gallimard, Mémoire de fille, un racconto autobiografico che concentra, in poco più di centocinquanta pagine, uno scorcio della vita dell’autrice, più precisamente di quel lasso di tempo che va dall’estate del 1958 all’autunno del 1960.
Di questa formidabile donna ed incredibile scrittrice sarebbe bello parlare un po’, ma è anche vero che, chi la conosce e la ama, sa già quel che c’è da sapere; è la sua vita, infatti, il costante e sempre presente oggetto, il fulcro, il punto di partenza e di arrivo di ogni suo scritto.
Il posto, Una donna, La vergogna, L’altra figlia e, seppur in maniera un po’ diversa, anche Gli anni rappresentano tutti dei tentativi di indagare la realtà attraverso una lente personale, quella dell’autrice, la quale interpreta ed analizza il mondo partendo dalla sua esperienza, garantendo a se stessa la possibilità di sviscerare a fondo il proprio vissuto e consentendo al lettore di cogliere l’esistenza tramite il racconto di un’altra vita.
Non è certo roba da dilettanti. La Ernaux infatti, oltre ad essere la mia scrittrice preferita dopo Simone de Beauvoir, è anche una delle massime esponenti della letteratura francese contemporanea, conosciuta e studiata in tutto il mondo come iniziatrice di un nuovo genere autobiografico che consente di trasformare il racconto di sé in un affascinante strumento sociologico in grado di analizzare e restituire la realtà sociale, politica ed esistenziale sotto forma di narrazione.
Rispetto a questa modalità narrativa non fa eccezione Memoria di ragazza, pubblicato in Italia da L’Orma Editore, nell’impeccabile traduzione di Lorenzo Flabbi. È un libro di cui, come mi è già capitato con la Ernaux, potrei parlare per ore, tirando fuori infiniti spunti di riflessione. Dal momento che non ho a disposizione molto spazio penso sia necessario sintetizzare e limitarsi ad evidenziare solo quegli elementi fondamentali presenti all’interno dell’opera dai quali non è possibile prescindere. Sospetto non sarà facile, ma voglio provarci.
Ad un primo sguardo Memoria di ragazza è, come lo sono anche gli altri scritti dell’autrice, un resoconto di vita relativo, in questo specifico caso, ad un periodo carico di avvenimenti e cambiamenti, capaci come tali di generare forti aspettative e riflessioni.
Annie Duchesne è un’adolescente timida ed una studentessa brillante che alterna un incontenibile desiderio di libertà ed emancipazione, volto alla scoperta del mondo esterno, ad un radicato sentimento di appartenenza che la tiene legata alla famiglia di origine tra le braccia della quale, al di là delle differenze e del senso di vergogna che le umili origini dei suoi genitori le suscitano, si trova al sicuro. In mezzo a tutto questo troviamo un insieme di prime esperienze e nuove dimensioni che rendono il racconto della Ernaux ricco di confessioni e momenti cruciali: la prima vacanza-lavoro lontano da casa, l’incontro con l’altro sesso, il confronto a volte doloroso con i pari, l’uso di parole volgari e mai pronunciate prima, il repentino passaggio da un’inebriante onnipotenza ad una radicale sofferenza, accompagnata dall’idea di aver perso tutto. E poi ancora il rapporto complesso con il proprio corpo, il conflitto con il cibo e i disturbi alimentari, il tentativo di emulare gli altri e i dubbi e le paure sulla fertilità.
Tutto ciò è quello che il libro effettivamente racconta. Però non basta. Non può bastare. Perché chi legge Annie Ernaux non lo fa mai per avere un resoconto di avvenimenti e incontri avvenuti in un momento passato che hanno poi generato conseguenze nella successiva esistenza dell’autrice. O meglio, non lo fa solo per questo.
Questo è solo l’apparenza. Appena si entra nel vivo della lettura ecco che la reale sostanza della storia, il senso dello scrivere ed i messaggi che concretamente l’autrice vuole veicolare saltano fuori, dando luogo ad una sorta di narrazione in parallelo che ha radici molto più profonde del mero racconto di vita e che cerca di consegnarci i risultati di una sorprendente indagine personale capace di scavare tra le pieghe più nascoste dell’esistenza umana.
Penso che tutto questo possa bastare per convincere chiunque che la Ernaux meriti di essere letta al di là della specifica storia che, di volta in volta, si trova ad affrontare nei libri che scrive, semplicemente per questa modalità diversa e senza eguali con cui entra nella dimensione del reale ed analizza ogni cosa che le si para davanti.
Ma visto che qui stiamo parlando di un testo in particolare, tenterò di dare prova di quanto ho detto per quanto riguarda il libro in questione.
Memoria di ragazza è definito dalla stessa Ernaux un «testo mancante, sempre rimandato», considerato addirittura come «buco inqualificabile»; di questa ragazza del ’58, una giovane di diciotto anni, lei ha sempre voluto parlare, ha sempre considerato che ricordare questa ragazza, che non è altro che lei in un tempo passato, fosse un passo fondamentale. Poterne scrivere, redigere un resoconto sui fatti che ruotano intorno a quel biennio è da sempre un fatto essenziale eppure, nonostante questa urgenza, non ci è mai riuscita. Ci ha provato nel 2003, ma dovrà passare più di un decennio perché ci riprovi.
Come sempre ce la fa. Si mette in gioco e nella maniera pacata e apparentemente asettica che la contraddistingue racconta cosa questa operazione comporti.
«Scavare fino in fondo in quel 1958 significa accettare la polverizzazione delle interpretazioni accumulate nel corso degli anni. Non appianare nulla. Non costruisco un personaggio di finzione. Decostruisco la ragazza che sono stata».
E ancora la difficoltà necessaria del mettere e tenere insieme se stessa, la lei del ’58 e quella di oggi, l’unione tra punti di vista che non possono essere uguali e che la portano ad ipotizzare possibili soluzioni:
«Sogno una frase capace di contenerli entrambi, senza frizioni, grazie al semplice meccanismo di una nuova sintassi».
In questa, come la definisce lei, “colluttazione con il reale” che scrivere rappresenta, nonostante le difficoltà e gli sbalzi, le consapevolezze più o meno chiare, e i molti aspetti che sembrano emergere nella mente dell’autrice solo man mano che le fasi della narrazione procedono, sembra però che qualcosa venga riconosciuto. In più di un passo, lo scontro diretto con la realtà, l’incontro con l’oggetto concreto (una foto, una stanza) le restituisce la possibilità di riconoscersi, di ritrovare i propri sentimenti intatti, come, forse, “la traccia di un’infelicità e di una metamorfosi” o di altri stati emotivi che, seppur sotterrati dalla patina del tempo, hanno ancora la capacità di emergere nitidamente. L’oggetto è “il reale che resiste” e ad Annie per continuare a farlo vivere non resta altro espediente che la scrittura, l’uso costante di parole, che a loro volta prendono forma a partire da immagini e sensazioni relegate in un tempo lontano da quello presente.
È dunque, ancora una volta, la scrittura e l’atto di scrivere l’oggetto principale della narrazione, il punto da cui tutto prende vita, l’elemento imprescindibile tanto per la ragazza del ’58 che per la Annie dei nostri giorni:
«Limitarsi a “godersi la vita” è una prospettiva improponibile, dal momento che ogni istante senza un progetto di scrittura è come se fosse l’ultimo».
La scrittura è legata a doppio filo all’esistenza, è il tramite attraverso cui la realtà può esistere, al punto tale che è necessario per la Ernaux scrivere di ciò che è vivo, sapere che l’oggetto della sua narrazione è ancora in vita, esposto al rischio di quanto essa stessa scriverà.
«Ottenere una prova fisica, sensibile, della loro esistenza. Come se avessi bisogno che fossero ancora vivi per continuare a scrivere. Bisogno di scrivere su qualcosa di vivente, con il rischio di metterlo a repentaglio, e non nella tranquillità conferita dalla morte alle persone, restituite all’immaterialità delle creature di finzione».
La scrittura le consente di contenere il significato del suo vissuto, l’insieme degli elementi, la memoria di tutto e la vergogna (un tema che ritorna in ogni suo scritto, in maniera più o meno preponderante, e che si presenta anche qui), i fatti e gli accadimenti; scrivere, in questo specifico caso, è uno sforzo complesso, un tentativo di rimettere in piedi tutto, un difficile quanto necessario slancio grazie al quale le due Annie, quella del ’58 e quella di oggi, potranno finalmente parlarsi. Una volontà, la sua, di lasciare spazio alla memoria, quella stessa memoria che nonostante le sembri statica, riconosce come fondamentale mezzo di conoscenza.
«Mi domando cosa possa significare che una donna si metta a ripercorrere scene risalenti a più di cinquant’anni prima alle quali la sua memoria non può aggiungere niente di nuovo. Quale convinzione la sostiene, se non quella che la memoria sia una forma di conoscenza?»
L’atto di scrittura, inoltre, rappresenta un momento necessario, un frangente irrinunciabile per chiunque voglia provare a comprendere e ad attribuire un significato a ciò che succede e a ciò che viene fatto:
«A che scopo scrivere, d’altronde, se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione – psicologica, sociologica o quant’altro – , una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un’idea precostituita o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere – a sopportare – ciò che accade e ciò che facciamo».
Rigettare quest’impresa non è accettabile. Impensabile per la Ernaux interrompere l’operazione di recupero e racconto del passato, smettere ad un tratto, perché gli anni del tempo andato sono parte integrante del futuro, appartengono ad esso, nonostante le continue difficoltà nel sentire con la stessa intensità le emozioni provate un tempo.
«Impossibile interrompere qui. Non posso fermarmi finché non avrò raggiunto un certo punto del passato che, in questo momento, è il futuro della mia narrazione».
Difficoltà dovute soprattutto al dolore nell’affrontare alcuni temi: l’incontro con l’altro sesso e il rapporto con il cibo prima, ma anche, man mano che si procede nella narrazione, il tentativo, poi concepito come svista, di diventare maestra e l’ammissione dello sbaglio, dell’errata valutazione dovuta alla complessità dell’atto di scegliere in una fase della vita in cui, difficilmente, si è sicuri di qualcosa.
«Mi rendo conto di aver avuto bisogno di riattivare la ragazza che si è impegnata – per dieci anni, avevo firmato – e smarrita in un mestiere non adatto a lei, di esporre insomma una questione a cui la letteratura dà spazio raramente: come ce la caviamo, tutti noi, con la situazione che ci si presenta all’inizio della vita, dapprima l’obbligo di fare qualcosa per vivere, poi il momento della scelta e, infine, la sensazione di essere, o di non essere, là dove dovremmo essere.»
Questo e molto altro ancora è ciò che ci consegna Memoria di ragazza. Ma bisognerebbe forse dire che questo e molto altro è Annie Ernaux, una scrittrice come ce ne sono poche o come, forse, non ce ne sono mai state, capace di immergersi completamente nella realtà e allo stesso tempo di restarne fuori, in grado di mantenere un distacco tale da garantirle la possibilità di parlare e scrivere del proprio vissuto, di condividere il proprio mondo come se fosse quello di ognuno, rimanendo anch’essa al di fuori, imparziale e riflessiva spettatrice di se stessa.
«Il ricordo di ciò che ho scritto già si cancella. Non so cosa sia questo testo. Persino quello che inseguivo scrivendo il libro si è dissolto. Tra le mie carte ho ritrovato questo appunto, una sorta di dichiarazione d’intenti: Esplorare il baratro tra la sconcertante realtà di ciò che accade nel momento in cui accade e la strana irrealtà che, anni dopo, ammanta ciò che è accaduto».
Maddalena Colombo è una bookblogger e bookstagrammer. Gestisce il blog Passi lunghi e non distesi. Su Instagram la trovate come passilunghienondistesi.