L’opera gaddiana, che Arbasino chiama «sardanapalesca» e «pantagruelica», può risultare incompleta senza esplorarne i suoi saggi dispersi, che Adelphi ha raccolto sotto il titolo di “Divagazioni e Garbuglio”. La lingua di Gadda, che i detrattori chiamano barocca («dicerie artatamente denigratorie»), è poco adatta ai giornali di massa; l’ingegnere sembra avercela con Buzzati, in quegli anni star del Corriere. Buzzati è «uno scrittore che sa far l’inglese con la pipa, alla facciaccia di chi crede nelle pipe o pippe che siano, lo si paga, lo si riverisce, e si dice che è grande», e poi «Il deserto dei Tartari è un miserrimo plagio del “messaggio dell’imperatore” di Kafka».
Ma queste non son che gustose acredini tra scrittori; gli articoli del Gran Lombardo sono studi di un vero critico, lucido e documentato, che non abbandona la sua elaborata ricerca linguistica:
«La [simbologia] baudelairiana è di origine psicologica, non metafisica. Il simbolismo, storicamente manifestatosi in Verlaine, Rimbaud, Mallarmé (i grandi maestri), e nei loro epigoni e nei più lontani profittatori, è riconducibile, per l’appunto, a forme psicologiche: è la proiezione estetica di “momenti dell’anima” che cercano nella natura un misterioso equivalente espressivo».
Si sente costretto, Gadda, a difendere il conterraneo Manzoni da chi vuole leggere nei Promessi Sposi un «intento propagandistico»: «quel signore milanese ha romanzato per primo nei poveri, negli umili, negli incorrotti o nei fatalmente oppressi i risorgenti protagonisti della storia umana, della salvezza biologica: e li ha immaginati a dire (in battute inimitabili) e a sentire e patire e volere come tali: in un seicento lombardo, spagnolesco, lanzichenesco, e borromeiano e sinodale e cattolico: (cattolico era, lui non poteva farlo turco)».
Ma non solo di letteratura si parla, dentro ci sono anche automobili, società e città; nel 1955 esce un articolo sulle espansioni urbanistiche: «Il comune è arrivato con autocarri carichi di breccia, coi compressori stradali, col catrame […]. Il prezzo del metro quadro sale sale, per i terreni ancora invenduti, gli ultimi, insulae ghiotte, oggi, tra i venduti e costruiti. La periferia dei prati, dei carciofi, dei canneti, dei giunchi diviene la periferia edificata del linguaggio odierno: quella che si raggiunge con “tre mezzi”, con “cinque mezzi”, cioè con tre o cinque filobus».
“Nasazzi turgidi”, “processo di stendhalizzazione”, “pigolante poeta”, “facilità bamberottolesca”… spiluccando tra questi articoli inevitabile non ammirare la bellezza della precisione linguistica, la gioia del dizionario e dell’ingegno, a disposizione della sostanza, con cui l’autore del Pasticciaccio sembra giocare, ma senza scherzare.
Carlo Emilio Gadda, Divagazioni e Garbuglio, Adelphi.
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Leo Longanesi, esortandolo con un «bisogna battere Moravia», mandò Flaiano al premio organizzato da Maria Bellonci con il romanzo Tempo di uccidere. Giuseppe Berto arrivò quarto e Corrado Alvaro si ritirò. Il libro, Ambientato durante la guerra in Etiopia, si portò a casa il primo Strega. Quello sarà l’unico romanzo puro dell’autore pescarese, che scrisse alcune delle sceneggiature più importanti del cinema del dopoguerra (ben dieci con Fellini), recensioni cinematografiche e articoli. Adelphi, che proprio come con Gadda ne sta ripubblicando l’opera omnia, qui presenta gli articoli di Flaiano degli anni ’40 (con qualche aggiunta da L’Espresso, anni ’70).
C’è il pre e il post 8 settembre, i commenti a caldo su M. e sui tedeschi, sugli americani a Roma, sulle rovine e sui profughi e sulle sospette e improvvise conversioni all’antifascismo, sugli animali scomparsi – «questa è la cosa che colpisce di più: che gli animali abbiano abbandonato la scena […] cani e gatti mangiati dagli uomini diventati poveri».
1944, su Risorgimento Liberale: «Hitler ha detto che l’attentato alla sua persona è stata opera di alcuni “ufficiali invidiosi”», ma essendosi Hitler dimostrato un pessimo stratega, «quegli ufficiali invidiano ora l’artista. […] Ne dobbiamo concludere che la rivoluzione che si prepara in Germania sarà eminentemente pittorica. Le disordinate forze dell’espressionismo batteranno le statali formazioni del neoclassicismo?».
Tra un momento di verità reportagistica e di occhio narrativo e storielle divertentissime (e amarissime), appaiono in queste cronache quelle sue frasi, così flaianesche possiamo ormai dire, che descrivono e definiscono i perenni vizi e il cinismo del popolo italico. Verità aforistiche meno asprigne di quelle di un Longanesi, e più sofisticate di quelle di un Prezzolini.
«Per molti, parlare di politica significa dir male degli uomini politici». E altre perle ben spendibili per analizzare il quadro politico di stamattina, di ieri mattina o di domani mattina: Mussolini ci ha insegnato che «l’intolleranza reciproca porta un intollerante al governo», e poi, «in Italia non esistono avversari ma solo “cretini”. Chi non la pensa come me è un cretino».
«Quando seppe he gli alleati erano entrati a Roma stappò una bottiglia di spumante. Passata la prima allegria, sorridendo con aria di superiorità, disse: “E se avessimo soltanto cambiato di padrone?».
Ennio Flaiano, L’occhiale indiscreto, Adelphi.
Nato in Liguria nel 1989, ha vissuto a Parigi e negli Stati Uniti. Vive a Roma, scrive e traduce.