Le presentazioni dei libri sono notoriamente croce e delizia di chi scrive. Non c’è scrittrice o scrittore – dalla brillante promessa al venerato maestro, passando per l’enorme caravanserraglio di soliti stronzi – che non abbia almeno un trauma a riguardo. Dopo la serata “Mirto con l’autore” al Festival delle storie di Gavoi 2017, tra infiniti giri di bicchierini per gli autori invitati a raccontare sul palco i momenti più imbarazzanti della loro vita e per il nutrito pubblico di appassionati (o alcolizzati) seduti ad ascoltare, è nata la voglia di raccogliere aneddoti e riflessioni su quegli eventi tanto tragici quanto inevitabili che sono le presentazioni dei libri. Eventi dal finale a volte incerto, altre inaspettato, sovente disastrosi. Nonostante le migliori intenzioni.
Il primo racconto è di Matteo B. Bianchi.
Prima che tutto abbia inizio
Un pomeriggio ricevo una telefonata da un tale Luigi dell’Arcigay di Ginepro (nome fittizio di una grossa città di mare). Mi racconta che ogni anno a settembre lì si svolge la festa dell’Unità, una delle più grosse d’Italia, con migliaia di visitatori. Dal momento che è stato offerto uno spazio ad Arcigay per organizzare degli eventi, volevano invitarmi a presentare il mio ultimo libro. Accetto la proposta e affrontiamo i primi dettagli sull’incontro, date, orari, viaggio, eccetera.
Il primo romanzo che ho pubblicato (il racconto autobiografico della mia adolescenza come giovane gay in un paesino di provincia) ha avuto molto successo presso la comunità omosessuale e sebbene il secondo libro riguardi tutt’altra tematica (la mia esperienza come educatore in un centro per bambini psicotici) continuo a ricevere inviti presso il circuito LGBT italiano, che accolgo volentieri perché so che si rivolgono a un pubblico che già mi conosce.
Il giorno prima dell’incontro questo Luigi mi chiama di nuovo.
– Senti, volevo proporti una cosa: di solito portiamo gli autori a cena alla fiera, ma ci sono due ragazzi dell’associazione che sono tuoi fan e per loro sarebbe un sogno invitarti a casa loro. Fra l’altro cucinano benissimo. Ti va di farli felici? –
– Ma certo –
– Benissimo. Allora ci vediamo domani alle 18 in stazione. Vengo a prenderti al binario –
– Come ti riconosco? –
– Ah, non preoccuparti. Ho visto le tue foto su internet, ti riconosco io! -.
La sera dopo, fedele alle istruzioni, scendo dal treno e mi fermo sulla pensilina. Intorno a me una fiumana di gente proveniente dallo stesso convoglio mi supera e si infila nei sottopassaggi. Restiamo in pochi sul binario, una decina di persone, ma a poco, a poco anche queste si allontanano. Rimane un solo individuo, un ragazzo sui trent’anni che ha la classica aria di chi stia aspettando qualcuno. Deve essere Luigi, penso, e mi avvicino sorridendo. Lui non ricambia neanche il mio sguardo, continua a girare la testa da un lato e dall’altro in attesa di qualcuno che a tutta evidenza non sono io. Suppongo che il mio accompagnatore abbia avuto un contrattempo, estraggo il cellulare e lo chiamo. In quell’istante il telefono del ragazzo comincia a squillare. Mi viene da ridere. – Ma allora sei tu Luigi – dico. Lui non sembra affatto divertito dalla situazione. Mi squadra da capo a piedi con un’espressione che non esiterei a descrivere come di cocente delusione e dichiara: – Ma non assomigli affatto alle foto che ho visto di te! -. Un’osservazione piuttosto curiosa da fare al diretto interessato. Come posso sapere che foto abbia visto? Come posso esserne responsabile? È evidente che deve avermi scambiato con qualcun altro su internet, ma sembra attribuirne a me la colpa.
Ci incamminiamo verso la sua macchina.
– Ti porto prima in albergo, lasci le tue cose poi dobbiamo andare subito da Luca e Davide. Non abbiamo molto tempo per cenare –
Quando avevo accettato l’invito non avevo capito che fosse prima dell’incontro. In verità, Luigi non me l’aveva detto. Lo scopro in questo momento.
– L’incontro è alle nove… – cerco di far notare.
– Infatti, ceniamo alle sette –
I tempi sono più che stretti, in pratica dobbiamo correre.
Arriviamo in albergo. È un hotel a cinque stelle di una nota catena alberghiera.
– Certo che vi trattano bene a voi scrittori, eh? – commenta Luigi prima che io scenda dalla macchina.
– In che senso? –
– Beh, guarda che albergo di lusso ti hanno dato –
Mi sorge il dubbio che le spese del mio alloggio siano a carico dell’associazione.
– Dovete pagarlo voi? –
– No, no, paga tutto il comitato della festa –
– Ma allora che ti importa che sia un albergo di lusso, scusa? –
– Niente, dicevo per dire –
Luigi mi odia. Non so perché, ma è evidente.
Faccio check-in, mi cambio la camicia e torno giù più in fretta che posso.
La casa degli amici che ci aspettano per cena è in centro storico. Per raggiungerla ci infiliamo in vicoletti nei quali mi sembra persino impossibile le auto siano autorizzate a transitare. Quando arriviamo davanti alla porta dell’appartamento sono già le 19.10.
Luigi suona. Ci viene ad aprire un uomo con indosso solo un paio di boxer.
– Forse siamo arrivati troppo presto, ti stavi cambiando… – osservo.
Il tipo allunga una mano e si presenta: – Ciao, sono Luca. No, non mi stavo cambiando. Resto in mutande perché sto cucinando e ho caldo –
Detto questo ci fa cenno di accomodarci in salotto mentre lui torna ai fornelli.
Ora, non sono esattamente il principe Carlo d’Inghilterra, non mi aspetto deferenza e formalità. Io stesso tendo a essere il più casual possibile in ogni circostanza, cerco di dare del tu a chiunque, detesto il sussiego e l’etichetta, ma non mi era mai successo prima di essere accolto da un sconosciuto senza vestiti. Perlomeno non per un invito a cena. Se devo dirla tutta, Luca è pure peloso come un grizzly e cucinare senza neanche un grembiule non mi pare la scelta più igienica, ma lasciamo stare.
La nudità del cuoco comunque non infastidisce nessuno degli altri invitati, che in salotto stanno chiacchierando e bevendo vino. Luigi, con l’entusiasmo di un impiegato alle poste che sta registrando una raccomandata, mi introduce ai vari presenti, poi va a prendere da bere. Per lui. Io rimango con Leila, la presidentessa del circolo Arci, nonché la relatrice che presenterà la serata.
– Vuoi che ci accordiamo in qualche modo per l’incontro? – le chiedo.
– Non importa – risponde lei. – Tanto sarà una cosa semplice: io farò un’introduzione, spiegando al pubblico chi sei, poi ti lascio la parola –
– Dopo mi farai delle domande immagino –
– Veramente non ne ho preparate. Pensavo che tu parlassi liberamente –
Sono perplesso. Senza spunti come posso portare avanti un discorso? E soprattutto, se non ha intenzione di farmi domande, in cosa consisterebbe il suo ruolo di relatore?
Quasi a voler fugare i miei dubbi, Leila conclude: – Stai tranquillo, ce ne sarà qualcuna dal pubblico –
Ah, beh. Tranquillissimo.
La cena inizia a un quarto alle otto. Il cuoco si è messo una t-shirt sopra i boxer per sedersi a tavola. Lui e il compagno ci tengono a dirmi quanto abbiano adorato il mio primo romanzo, soprattutto per il contenuto musicale. – Abbiamo gli stessi gusti! – mi annunciano festanti. Poi cominciano a parlarmi fitto di Barbra Streisand, Mina e Laura Pausini, tre nomi che nel mio libro non compaiono neanche. Mi chiedo se, come Luigi, mi abbiano scambiato per un altro.
Quando sono le otto e trenta comincio a essere impaziente. – Forse dovremmo andare – suggerisco a Luigi. Se c’è una cosa che proprio non sopporto è arrivare in ritardo alle mie presentazioni.
– Ma manca ancora il dolce! – protesta Luca, che si alza e corre in cucina.
Intanto al tavolo, non so neanche bene come, comincia una discussione che degenera quasi subito in una specie di faida. Gli ospiti stanno litigando fra loro per chi dovrà prendere la macchina e chi avrà la comodità di lasciarla qui sotto e farsi riaccompagnare. Scambio l’inizio del battibecco per una gag fra amici, ma quando cominciano a volare gli insulti capisco che la situazione è più seria del previsto.
Intanto, quasi come se la faccenda non li riguardasse, Luigi e Leila mangiano il loro dolce in santa pace con aria tranquilla. È giunto il momento di prendere in mano la situazione. Afferro i due per un braccio e decreto: – Noi dobbiamo muoverci. ADESSO! -.
Le maiuscole imperative del mio tono fanno sì che mi obbediscano, riluttanti. Usciamo di casa lasciandoci gli urli alle spalle.
Per arrivare alla sede della Festa dell’Unità impieghiamo venti minuti e sia ringraziato il cielo che l’Arci abbia un posto riservato al parcheggio interno, se no avremmo potuto metterci tre volte tanto.
Quando varchiamo i cancelli dell’area fiera sono già passate le 21. Io sto quasi correndo, loro due arrancano sbuffando dietro di me. Già col fiato corto ricevo una chiamata sul cellulare. È un’amica che vive in città e che sapevo avrebbe partecipato all’incontro.
– Ho appena scoperto di essermi persa la presentazione. Che peccato! –
– No, tranquilla. Non abbiamo ancora iniziato –
– Ma sul programma c’è scritto che era oggi pomeriggio alle 18 –
– Cosa stai dicendo? –
– Controlla –
Riattacco e mi guardo in giro. Sparsi lungo il percorso, in piccoli distributori o sui banchetti delle vivande, ci sono pacchi di depliant con il programma della manifestazione. Ne afferro uno e comincio a sfogliarlo freneticamente. Arrivo alla data odierna e all’elenco degli appuntamenti. Sala Elettra, ore 18.00 – Presentazione del romanzo “Fermati tanto così” di Matteo B. Bianchi. Poche righe sotto Sala Elettra, ore 21 – Proiezione del film vincitore dell’ultimo festival di Cannes, “Rosetta”. Sbalordito, lo mostro a Luigi.
Lui guarda la pagina che gli sto indicando e poi, senza scomporsi minimamente, scuote le spalle e dice: – Ah, sì, c’è stato un fraintendimento con l’organizzazione. Avevamo prima programmato l’incontro alle 18, poi l’abbiamo spostato alle 21, ma ormai i depliant erano in stampa, perciò… –
– Perciò bisognava lasciarlo alle 18! – osservo io.
Luigi è infastidito. – Ma stai calmo, non preoccuparti, abbiamo chiesto di annunciare la variazione all’altoparlante. Hanno fatto degli avvisi anche oggi pomeriggio –
Intorno a me ci sono migliaia di persone, la fiera è affollatissima, c’è gente che parla, bambini che gridano, musica proveniente dai banchetti, un caos gioioso e assoluto. Chi mai può prestare attenzione agli annunci in questo bailamme?
– E secondo voi basta questo? –
– Beh, sì –
Non so come reagire, quindi faccio la domanda che più mi preoccupa: – Quanti depliant sono stati distribuiti? –
La risposta di Luigi è l’equivalente di uno schiaffo: – Mi sembra un milione -.
La Sala Elettra si rivela piena di gente. Sospettosamente troppo piena per una presentazione letteraria. Mentre prendiamo posto al tavolo, indovinando i miei pensieri per la prima e unica volta in questa giornata, Luigi viene colto dallo stesso sospetto. Prende un microfono e rivolto al pubblico dice: – Volevamo avvisarvi che fra poco inizierà la presentazione del libro di Matteo B. Bianchi “Fermati tanto così”. La proiezione del film “Rosetta” è saltata -.
In sala si leva un brusio altissimo e pochi secondi dopo circa tre quarti dei presenti si alzano e si avviano all’uscita. Restano sedute una ventina di persone. Fra loro riconosco i volti di un paio di amici, con gli occhi bassi per la penosità della situazione. Gli occupanti delle prime due file sono saldamente rimasti ai loro posti, ma è evidente non sia per improvviso interesse per la letteratura quanto per prossimità fisica. Sono seduti di fronte a me, sono troppo imbarazzati per andarsene.
Un signore si alza e si avvicina. – Scusi – mi chiede, – il contenuto del libro è adatto per una bambina di dieci anni? -. Mi indica una bambina con un vestitino a fiori e gambette secche che spuntano sotto la gonna nel posto accanto a quello che lui ha lasciato vuoto.
Scuoto la testa. – Non lo so – ammetto. – Parla di servizi sociali e handicap infantile, non argomenti leggerissimi -. Ma intanto penso “Se è per questo neanche il film “Rosetta” era adatto a una decenne”. Il signore decreta sicuro – No, meglio di no -, torna dalla ragazzina, la fa alzare ed escono.
Per togliere dall’impiccio anche gli altri mi avvicino al microfono e dico alle prime file: – Tranquilli, non siete obbligati. Eravate qui per un film, andate pure –
Legittimati dalla mia concessione, almeno altre sei persone se ne vanno.
Non è ancora iniziato l’incontro e io sono già uno straccio. Prego Leila di cominciare, subito. Lei sorride e prende il microfono e dice: – Buonasera, siamo qui con Matteo B. Bianchi, che è uno scrittore gay e ha scritto un romanzo gay -. Poi si volta verso di me e dice: – Prego -.
Io la fisso allibito. “Uno scrittore gay che ha scritto un romanzo gay”. Davvero consiste in questo tutta la sua introduzione? Per un libro che peraltro non c’entra nulla con la tematica omosessuale?
Sì. La posizione che torna ad assumere, eretta sulla sedia, mi conferma che non c’è altro.
Il pubblico in sala intanto è lì in attesa. Luigi e la cosiddetta relatrice mi guardano. C’è un silenzio che mi sembra irreale. Io mi avvicino al microfono e, con uno slancio di completa, assoluta sincerità, annuncio: – Adesso mi metto a piangere -.
Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.