Traduzioni inedite di Anna Maria Carpi.
Barbès*
con un volto facile al riso
se ne sta sulla soglia della bottega,
è il sarto che saluta
dentro io sono impigliato
nel lungo filo della sua loquela
che arriva all’africa e attraversa barbès
vive in africa la sua famiglia,
gli orecchi di cera e assonnati
io lì nel mezzo
emergo dall’antro e parlo
salute karim
d’invidia non c’è traccia
al margine la luce saltellante sbriciolata
sull’acqua ballerina
che accompagna i passi
e strilla salta corri va’
per la città
come un cane
non c’è invidia in Karim
è solo povero
parchi pieni di uomini
fermi alla fontana
in attesa di futuro
eppure non hanno che l’adesso
sotto i possenti platani
sono mischiati con la città
sbircianti in altre vite che
non e non hanno
segni potenti impotenti
fra gli alberi e
tristezza e gioia e rapidità
e vita corrono per la città
è là che marcia karim
il garzone macellaio
a fine giornata
le spalle che quasi si urtano col cielo
è là che vanno a spasso orgoglio e nostalgia
calati a fine giornata
la sua calda luce scura
spande conforto
senza sapere cos’è o che sarà
karim esce,
è là che lui si cala
saluta il tipo con la barba
in cappotto grigio
anch’esso pronto al saluto
traversa la strada
a passo di lumaca
spingendo il peso delle merci che offre
distribuisce le merci
in diversi depositi
e lasanna il ragazzo negro
traversa la strada
con la sua forza
che supera quella di tutti
eccolo già andato
ha passato la lavanderia
dove i panni
ruotano e attendono l’attesa.
lì davanti il senzatetto attende il giorno,
ogni ora nascosta
qua davanti gli uomini arabi
a gruppi anche loro
qui solo in visita in visita
qui
nella vita.
*
La strada
Loro vanno
in mezzo alle case
e perlopiù
spariscono.
come volti entrati
nel mio volto
ci stanno in parte
o col loro corpo
o coi gesti.
ardendo
io vedo una, quell’una
ridere
pura cordialità.
sono mani che lavorano
mani che afferrano
e lavoratrici a mano
io le chiamo
lo sguardo
curvo su di loro.
sempre sul lato del sole
vanno
ai loro antri
al lavoro
se il sole avesse le mani
le tirebbe fuori
in libertà
volano gli uccelli
nel vento
è raro che io non lo incontri
lui è sempre là che mendica
sorriso tormentato
fa il suo mestiere
buon giorno, ma prego e grazie
è l’uomo di strada
l’abita di giorno
la strada
la strada è…..un rigagnolo
le auto guizzano via
delicate prudenti spandono puzza
perlopiù
è mortale ma più tardi che mai
sento il tactac delle scarpe coi tacchi
il camion
la portiera dell’auto il cofano
giorno per giorno
tendo l’orecchio
spesso
come non sapessi far altro.
la casa dirimpetto è grigionera e tutta un grumo
e ha capitelli romani
irrilevante ma è che
così spesso la vedo.
ciò che si vede spesso diciamo
le finestre: non pulite
tolgono al giorno qualcosa
da fuori e da dentro
io non lo capisco
i rumori dal basso
sembrano così dentro
e la luce entra
senza chiedere
e i miei piedi vanno fuori
e tutto è strano
strano l’uomo
ma non strana la casa
che sta e sta
e fa la città
***
non mi riesce
di riconoscere questa stanza
ogni volta che la contemplo
mi è nuova
voglio amarla
voglio che dei muri mi tengano sospeso
nell’aria ma non avviene
nell’orecchio mi ronza
ininterotto il triplice ritmo
lascia perdere perdere perdere
la felicità è altrove
va’ in strada
va’ fra la gente
(*Quartiere popolare di Parigi abitato in massima parte da extracomunitari.)
Immagine: Andreas Gursky, Cocoon, 2008.
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Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).