Cos’hanno in comune gli scenari apocalittici di The Walking Dead (e di qualche altro centinaio di narrazioni sugli zombie che colonizzano tv, computer e scaffali di libri) con i video digitali dell’ISIS postati su diverse piattaforme e resi virali dai social… la fama soprattutto social di libri come Infinite Jest di David Foster Wallace (ci cui si sta giustamente celebrando il ventennale) o del più recente La cresta dell’onda di Thomas Pynchon?
Complotto!
Si tratta di narrazioni provenienti da ambiti e media diversi che si pongono, in un modo o nell’altro, al centro degli immaginari, e quindi degli scambi sociali e culturali della nostra epoca, quella tecnologica dei media digitali. Inoltre si caratterizzano dal fatto che ibridano (e manipolano) fatti, eventi, informazioni e cronache reali con altri immaginari, costruiscono mondi paralleli, intrecciano la storia e la rileggono, dipingono scenari credibili ma non reali, diffondono informazioni modificate e verosimili allo stesso tempo. Dialogano con i propri lettori/spettatori/utenti all’interno di una trama complessa, un universo narrativo fatto di una rete di riferimenti e di conoscenze: dalle antiche società, al mistero degli UFO, dai retroscena politici e storici ai virus fino alle mistificazioni religiose. E quanti altri racconti di successo seguono questa falsariga? Assassin’s Cred, Lost X Files, Il codice Da Vinci etc. etc. Sono racconti complessi e racconti di complotti: ciò che a mio parer contraddistingue la struttura dello storytelling del contemporaneo tecnologico e quindi dei media digitali. Ma facciamo un passo indietro…
Benvenuti nell’infosfera!
Che cosa sono realmente e come possono essere catalogati, osservati e analizzati le forme, i modi, le pratiche e le tecnologie che caratterizzano i media digitali? Contenuti per lo più visivi e nello specifico audiovisivi, che hanno dapprima “vampirizzato” i media come tv, cinema, radio ed editoria e che ora sviluppano forme proprie caratterizzate da modi più o meno intensi di interattività (alla fine si tratta di computer e software e quindi non potrebbe essere altrimenti!), conseguentemente da una grado di partecipazione dell’utente che arriva fino all’immersione della Realtà Aumentata e della Realtà Virtuale, e infine da una profonda ibridazione.
Viviamo in un’infosfera dominata dal cosiddetto “pervasive e ubiquitous computing” e in cui la comunicazione è profondamente definita dalla cultura del software e dalle pratiche tecnologiche.
Ma perché i complotti?
Ed è evidente come in questa ecologia dei media alle strutture lineari vengono privilegiati i racconti complessi indirizzati a un utente partecipe. Si tratta quasi sempre di racconti ramificati, tendenzialmente crossmediali o transmediali. Vincono le saghe, le epopee – come ricorda Ruggero Eugeni nel suo recente La condizione Postmediale – ma soprattutto i racconti complottistici. E’ come se di fronte all’incredibile numero di informazioni messe a disposizione dalle tecnologie digitali, le teorie dei complotti offrano un accesso più semplice e alcune linee guida. Senza rinunciare a un approccio sistemico e complesso, ne offrono comunque una versione semplificata, riducendo i percorsi all’interno dell’ecosistema. Le teorie del complotto sono racconti emblematici perché attingono dal reale, chiamano in causa la partecipazione, sono decisamente non-lineari e si dispiegano in uno spazio ibrido tra credenze, verità e sospetti, intrecciando, non solo ambienti e personaggi reali, ma anche notizie, informazioni e fornendo chiavi di lettura e di interpretazione. I racconti delle teorie del complotto si caratterizzano proprio per il fatto di fondersi inestricabilmente con l’informazione e con il reale, sono in grado di riunire racconti immaginari, racconti del reale, documentari, reportage e racconti mitici, se non addirittura religiosi.
L’ingresso in questo ambiente sensibile e interattivo prevede intanto una “vestitura” identitaria. Bisogna indicare un’identità, segnalare i propri dati, proprio come avviene quando ci si iscrive ad un social network. Oppure creare una propria identità, un avatar, come in alcuni videogiochi o in Second Life. L’identità scelta può essere veritiera, parziale, falsa, persino collettiva. Solo a questo punto avviene l’immersione nell’ambiente narrativo e si inizia a viaggiare, navigare, “surfare”, cercare, postare, giocare, commentare. Ogni azione implica anche la relazione con gruppi più o meno vasti di identità connesse che condividono totalmente o parzialmente le nostre azioni, i nostri gusti, le nostre mete o le nostre opinioni. Sono le community online come le cerchie, gli “amici”, i follower, i forum, i fan e così via. Dentro il sistema narrativo, ogni azione, anche la più banale, amplifica il racconto e lo orienta. La narrazione segue così le forme complesse della Rete e si complica a sua volta: aumenta, si espande, agisce come un organismo secondo movimenti non-lineari.
Racconti complessi, racconti di complotti. Complotto in quanto forma aperta di narrazione, ibrido tra documentazione e fiction, per sua natura partecipata e partecipativa, parola che etimologicamente deriva dal latino «cum» e «plecto», e cioè abbracciare insieme, intersecare, riunire, intrecciare. Condivide la stessa radice semantica con la parola “complicato” e “complesso”, ma anche con la parola “plot”.
Assassini e zombie
Basti pensare alla serie televisiva Lost in cui diversi personaggi e diversi piani spazio/temporali si accavallano continuamente. O ad Assassin’s Creed, videogioco creato da Ubisoft che ha al centro fitte trame complottistiche che si intrecciano con i fatti storici: la setta degli assassini contro i templari in una sfida per sventare una grave minaccia apocalittica e per condizionare la storia dell’umanità. Assassin’s Creed si costruisce come una trama complottistica e una storia complessa in grado di generare attorno a sé una serie di spin off e cioè racconti “derivati” e scaturiti da quello principale, webserie, libri, web movie, forum, siti. Inoltre prodotti cosiddetti grassroot, cioè “dal basso”, provenienti da quel fandom (regno dei fan), acutamente descritto da Jenkins[1], che sempre più spinge l’utente a partecipare, a commentare, a essere protagonista, partecipare, manipolare, rileggere e condividere con le diverse community il proprio legame con l’universo narrativo che predilige. E se vogliamo portare un altro esempio… chi non conosce The Walking Dead? Forse il più famoso progetto narrativo transmediale contemporaneo. Nato come storia a fumetti, un comic book seriale (che tra l’altro sta continuando le sue pubblicazioni), diviene famoso per la serie televisiva che ne viene tratta e che segue in larga parte la trama, seppure con notevoli varianti. A sua volta la serie TV crea un universo simbolico e narrativo davvero ampio che prevede game, app game, app game a episodi (un misto tra app game e app episode). E inoltre webserie cosiddette companion, cioè con il compito di “accompagnare” il fan da una serie all’altra offrendogli testi alternativi, in questo caso brevi puntate sul web che seguono personaggi minori della serie TV, come nel caso di Tom Apart. E ancora libri, siti, blog, “dall’alto” e quindi ufficiali e “dal basso”, cioè prodotti dai fan. Un sistema narrativo in continua espansione che sovrappone spettacolo e intrattenimento con il marketing e la comunicazione. Un vero e proprio universo complesso che, guarda caso, si costruisce intorno a uno dei più classici racconti complottistici contemporanei: quello del virus apocalittico che trasforma i morti in zombie in cerca di carne umana. The Walking Dead propone un universo finzionale complesso (realizzato anche attraverso la moltiplicazione dei personaggi e delle loro storie presenti e passate), complottistico, fatto di misteri non (ancora) rivelati, e tutto ciò lo fa costruendo un’intricata rete di riferimenti, creando, sì un mondo “conchiuso” e riconoscibile, ma allo stesso tempo dal sapore frattale.
Scienza e virus
Un po’ quello che accade nei romanzi di James Rollins, Dan Brown, Frank Schätzing… gli intrighi tra scienza, politica, finanza e potere sono i prototipi di racconti complessi e complottistici che ben si adattano alla Rete: il web, infatti, rappresenta la struttura complessa ideale in cui collocare e spargere queste narrazioni, anche perché proprio la Rete viene identificata come il luogo principale, non solo per far circolare notizie e commenti, i più disparati, ma anche dove creare community per l’approfondimento di alcuni temi e notizie. È il luogo ipertestuale in cui aggregare notizie e ordinarle in un unico ambiente narrativo verso cui far convergere una serie di fan, attivisti, giocatori. Cloud Chamber, per esempio, è una preziosa webserie danese che si smarca da tutto quanto visto fino ad ora: si tratta infatti di un ambiente 3D esplorabile (interattivo come un gioco) che prende le mosse da una narrazione di tipo mistery-fantascientifico. Le community sono integrate nel testo e solo attraverso i forum si può procedere (con una formula freemium che parte gratuita e diventa a pagamento). Si gioca in collaborazione e si procede seguendo i video di fiction, i video documenti (tutta la storia è basata su reali ricerche sui neutrini e sulle radiazioni solari), foto e altri materiali. I confini tra fiction e non-fiction sono labili e così la struttura narrativa è in parte lineare e in parte partecipata. Cloud Chamber è un aggregato di notizie scientifiche esplorabile secondo i modi del racconto audiovisivo, diviso però per frammenti e aggiornabile solo dopo aver accumulato punti e vinto sfide informative, proprio come nella logica dei game. Che cos’è allora Cloud Chamber? Come lo si può definire? L’unica cosa certa è che questo prodotto ibrido web nativo trova nel racconto di complotto la sua struttura, una struttura che si adatta alla forma della Rete che premia la partecipazione, l’intrigo, la non-linearità. La complessità, in una parola.
Gli universi narrativi tendono a collegarsi: il mondo Marvel (Jessica Jones, Daredevil, solo per citare le due di maggior successo firmate Netflix), per esempio, che nasce dal fumetto e si è espanso al cinema e nelle digital serie, ora intreccia le sue saghe in una sorta di fitta rete narrativa creando un rapporto privilegiato con l’utente che segue, riconosce avvenimenti e personaggi che passano da serie in serie, si inserisce nelle pieghe delle storie, partecipa con forum e chat. Un racconto complesso e complottistico tra strategie segrete durante la Seconda Guerra Mondiale, servizi segreti e sviluppo di armi aliene. Così The Strain che nasce come progetto cinematografico di Guillermo del Toro e Chuck Hogan e successivamente diventa una serie di tre romanzi e quindi una serie tv di successo… e non a caso il tema è ancora una volta complottistico: un virus che si espande negli USA e a provocarlo è un antico vampiro. Ma gli esempi potrebbero essere molteplici, in campo letterario, cinematografico, televisivo e soprattutto nelle nuove tecnologie e sul web dove circolano vorticosamente notizie, informazioni, provenienti da siti giornalistici e non, dove si inseguono notizie e racconti, fake e fact checking. E’ qui che emergono prepotentemente gli immaginari e i racconti contemporanei che quindi traggono linfa vitale da questo ambiente costruendosi come narrazioni aperte, partecipate, che spesso mescolano fatti e persone reali con altri immaginari, producendo così complesse trame narrative che si diffondono, proprio come un virus. Virus che già Douglas Rushkoff in un suo saggio di fine anni ’90 identificava come la vera ossessione e la più efficace metafora della comunicazione nei media contemporanei.
Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.