Perché ha cominciato a scrivere? C’è un’immagine nella sua memoria che ricollega al momento in cui ha deciso di voler diventare scrittrice?
Per il piacere di farlo. Devo premettere che vengo da una famiglia di scrittori: una mia bisnonna inglese, Cornelia Berkelay, scriveva libri per bambini. Mia nonna Yoi Pawloska, scriveva romanzi di viaggio. Mio padre, pur essendo etnologo, ha sempre scritto (libri sul Tibet, sul Giappone che ancora oggi vengono stampati). A casa mia c’è stata tanta povertà negli anni del dopoguerra: io non avevo di che comprarmi un paio di scarpe nuove e sono andata per anni in giro con scarpe cento volte risolate, ma gli scaffali di casa erano pieni di libri, in inglese, in italiano. È stata una fortuna e una grande ricchezza, nonostante le privazioni. Ho cominciato a scrivere sul giornale della scuola, a Palermo, quando avevo 14 anni e poi ho sempre continuato.
Ci racconti il suo rapporto con la scrittura e com’è cambiato nel tempo. Cosa significa scrivere oggi, e cosa significava agli inizi? Cos’è rimasto, cos’ha perduto, e cos’ha guadagnato?
Crescendo e scrivendo e pubblicando si diventa più professionali. All’inizio si scrive spinti dall’istinto, abbastanza inconsapevoli dello strumento che si adopera. Poi piano piano si comincia a porsi domande sulla scrittura, si diventa più teorici e meno immediati, si passa dal parlare di sé in maniera ossessiva, a parlare di altri. Per lo meno per me è stato così. Scrivere, come ho detto, nasce da un piacere, e di solito è abbinato al piacere quasi ossessivo di leggere. Nessuno ti può costringere a leggere se non ne hai voglia, così come nessuno ti può costringere a scrivere se non te la senti. È la passione per uno strumento che senti tuo, che senti duttile, che senti amico e vicino (anche se ci sono dei momenti in cui lo strumento ti si può rivoltare contro e diventare un nemico feroce), che ti spinge a scrivere.
Tutto il resto: il rapporto con l’editore, il rapporto col pubblico, il rapporto coi critici, il rapporto con la distribuzione, tutto questo viene dopo ed è sempre problematico. Ma quando scrivi non pensi al dopo. Per me è così.
Qual è il suo pubblico ideale? A che lettore pensa quando scrive?
Quando scrivo penso poco a chi mi leggerà, ma se mi capita di farlo, mi rivolgo a qualcuno che mi assomigli, che sia curioso e pronto ad leggere. Ma ci penso il meno possibile, perché c’è da diventare matti a indovinare chi ci leggerà. Lascio agli editori le ricerche sui lettori. D’altronde ogni volta che esce un libro nessuno sa come andrà. Per fortuna aggiungerei, altrimenti gli editori pubblicherebbero solo i libri di cui già sanno che avranno successo. Mentre la riuscita di un libro è sempre una sorpresa e non risponde a nessuna regola prestabilita.
Che relazione c’è tra la scrittura e la società, con le sue influenze politiche e culturali? E come convivono questi aspetti nella sua produzione letteraria?
Lo scrittore per me è un palombaro che si immerge nelle acque infide dell’inconscio collettivo e porta alla luce oggetti nascosti e dimenticati. Spesso non sa nemmeno lui che cosa porterà alla luce. È piuttosto buio là sotto.
In che misura gli incontri (con altri scrittori, poeti, intellettuali) hanno influito nella sua poetica?
Gli incontri poco, le letture moltissimo. Ho sempre letto tanto e ogni volta che mi innamoravo di uno scrittore o di una scrittrice, capivo qualcosa di più sulla scrittura.
Quali autori l’hanno formata maggiormente e com’è arrivato a loro?
Il mio primo libro, nel campo di concentramento giapponese, è stato Pinocchio. Ma non era un libro di carta: era la voce di mia madre, che me lo raccontava a memoria. Un poco come nel romanzo di Bradbury, Farenheit 451, i miei genitori erano diventate in quel luogo disastrato, delle persone-libro. Uscendo dal campo e tornando in Italia, mi sono appassionata ai romanzi che raccontano avventure di mare (il viaggio di ritorno, come quello di andata in Giappone, è avvenuto in un mare minacciato dalle mine e dalle tempeste). Ho amato appassionatamente Conrad, Melville, Stevenson. Mi dispiaceva scoprire, leggendo, che tutti i protagonisti, anche i bambini, erano sempre maschi. Ma le donne dove erano? Mi mancava l’identificazione col personaggio avventuroso al femminile.
La storia è piena di libri rifiutati dalle case editrici e di libri che non sono stati immediatamente compresi dai lettori. Lei che rapporto ha con il rifiuto? E in che modo è cambiato nel tempo? Quanto conta, oggi, l’apprezzamento dell’opera nel suo approccio al testo, e che rapporto ha con il mercato?
Il mio primo romanzo è stato rifiutato da diversi editori. Alla fine ho incontrato un giovane editore, Roberto Lerici, che mi ha detto: te lo pubblico se mi porti la prefazione di uno scrittore conosciuto, Calvino o Moravia o Bassani o Cassola. Si dà il caso che conoscessi Tucci che era amico di Moravia e gli ho chiesto di fargli leggere il romanzo che avevo scritto già da qualche anno e che non trovava editore. Lui gentilmente gliel’ha fatto leggere. A Moravia è piaciuto e mi ha scritto la prefazione. Il libro è stato pubblicato da Lerici e ha avuto una buona accoglienza. Da quel momento non ho più avuto bisogno di presentazioni.
Che rapporto ha con il mondo letterario? Esiste ancora un luogo ideale di incontro/scontro tra autori?
Non esistono più luoghi dove gli scrittori possano incontrarsi, come succedeva negli anni Cinquanta e Sessanta. Il bar Rosati di Roma, il Giamaica a Milano, Giubbe Rosse a Firenze, erano dei luoghi dove gli scrittori, i pittori, i musicisti, si incontravano senza darsi appuntamento e si scambiavano idee sui quadri, sui romanzi, sui fatti del giorno. Da Rosati o da Notteghen o da Aragno ricordo di avere conosciuto molti artisti e intellettuali: da Fellini a Schifano, da Citati a Libero De Libero, da Elsa Morante a Cesare Garboli, da Moravia a Visconti. Ora in questi famosi caffè ci vanno solo i turisti.
In che stato si trova la letteratura italiana oggi? Vede delle mancanze rispetto al passato, trova che ci siano delle fioriture interessanti?
Mancano appunto i luoghi di incontro aperti a tutti, dove si scopriva la gioia di stare insieme e si solidarizzava. Oggi, se si vogliono incontrare gli altri scrittori, bisogna andare a qualche convegno lontano da casa, oppure a un talk show televisivo. Ma è mortificante. Meglio riunirsi in una redazione di rivista, come facciamo noi di Nuovi Argomenti, che ci raccogliamo una volta al mese per discutere di letteratura, e si incontrano giovani autori di talento. In quanto alle promesse per il futuro, non sono affatto pessimista, ma devo dire che la letteratura è lenta a mettere radici. Si sa sempre dopo chi rimarrà e chi sparirà. Per il momento posso dire che si pubblica troppo, che la legge del numero prevale su quella della qualità, che gli editori sono presi dalla frenesia di pubblicare libri che poi andranno al macero senza avere venduto neanche una copia. E la colpa non è degli scrittori ma di un sistema nevrotico che deve produrre sempre più rapidamente per sopravvivere. Ovvero: il trionfo del consumo. Ma il libro non è così facilmente riducibile a oggetto usa e getta. Pone delle resistenze che spesso inquietano gli editori e sconcertano i lettori. Sarebbe stupido trascurare questi segnali di saturazione. Il libro è un oggetto artigianale, nonostante poi venga riprodotto in tante copie e gettato sul mercato. Un prodotto artigianale non può essere trattato come un qualsiasi oggetto in serie. Il libro agisce sull’immaginario collettivo: un romanzo che pesca in profondità può cambiare le coscienze. E quindi dovrebbe essere trattato con più riguardo e attenzione.
E per finire, un gioco: se potesse scegliere solo tre libri da consigliare, quali sarebbero?
Non mi piacciono i giochi in cui bisogna buttare dalla torre qualcuno o qualcosa. Ho la casa piena zeppa di libri, proprio perché non voglio buttare i grandi amori della mia vita. Che sono tanti. Scegliendone tre, butterei tutti gli altri. E a me non piace buttare libri.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).