La storia è semplice: “la vita non cerca veramente, il nuovo, il diverso, l’inaspettato”. Così scrive ad un terzo del libro Tommaso Pincio, frase emblematica di un personaggio – Ottavio Tondi – da sempre ostaggio delle proprie letture. In realtà Tondi non è semplicemente un lettore, ma è un lettore se così si può dire passivo, ossia totalmente chiuso all’interno di un mondo che non prevede altro, nemmeno scrittura e voce.
Tondi non ha altri interessi che non siano leggere e poi ancora leggere e anche quando imprevedibilmente il successo lo accarezza portandolo sotto le luci della ribalta, lui rimane fermo e coerente e anche in pubblico i suoi spettacolo sono semplici letture, sempre sul suo divano e sempre con la bocca ben serrata e gli occhi lungo le pagine dei libro o dei manoscritti.
Tuttavia il protagonista dell’ultimo, atratti angosciante, romanzo di Tommaso Pincio, Panorama (NN Editore, Milano 2015) non è un moderno Bartleby e nemmeno un confuso Oblomov. Ottavio Tondi è infatti figlio della buona e corrotta borghesia romana e contiene in sé i prodromi tipici di un triste e malinconico erede degli anni Novanta trascinato come un corpo investito negli anni duemila. Attorno a Tondi tutto accade, ma nulla lo trasforma, più che altro lo ammacca. Gli eventi lo lasciano deturpato e privo anche delle poche risorse d’entusiasmo sempre e comunque destinate al consumo. Pincio costruisce un personaggio totale ed emblematico capace come pochi d’incarnare il sentimento più profondo nel suo carico di angosce e paure tipico dei nostri anni e lo fa con una costruzione fortemente letteraria che restituisce al lettore la forza e l’arguzia di uno spaesato Zeno dei nostri anni.
Panorama è quindi la storia semplice di uno sguardo, quello di un social network che è anche lo stesso sguardo di un narratore qui onnisciente. E del resto tutto quello che non sa banalmente non conta perché si perde, non fa parte della narrazione. Tommaso Pincio mischia con estrema abilità molti ingredienti tra cronaca e letteratura, tra realtà e finzione e lo fa lavorando attorno ad un unico occhio: un occhio che legge, che guarda e che desidera.
La scrittura e lo stesso racconto si determinano obbligatoriamente come una struttura necessaria, ma contemporaneamente avulsa dalla densità stessa della narrazione. Indicatori di questa modalità in cui la scrittura si fa servizio sono la citazione di alcuni personaggi presi dalla realtà, una modalità non solo – anche se certamente – giocosa, ma essenziale alla formazione del racconto. E così vediamo scorrere lungo le pagine i nomi di Teresa Ciabatti, Andrea Cortellessa e Giuseppe Genna, in un continuo rimando tra finzione e reale che Pincio maneggia con abilità dando vitalità e movimento ad un romanzo che fa dell’asfissia una forma essenziale di pressione pronta ad esplodere da un momento all’altro.
La vicenda di Ottavio Tondi (nome circolare come la sua vicenda) si snoda in una Roma del futuro prossimo, quanto mai sprofondata e incattivita e rappresentativa di un’evoluzione sociale e culturale perennemente obbligata a negarsi ogni forma di futuro. Tondi diviene figura simbolica di una comunicazione muta, ma ossessiva che contraddistingue questi anni privi di voci, ma affollati di rumore. Tondi attraversa il rumore con la lettura quale metodo ideale per relazionarsi in assenza di corpi, ma sarà proprio il corpo di una donna, Maddalena, ad abbandonarlo in uno stato privo di controllo e quindi incapace di concentrazione. La fellatio qui quasi in chiave meta-letteraria si esplicita quale paradigma della svolta e della perdizione come in buona parte della tradizione letteraria del secondo Novecento. Tondi si ritrova così privo di riferimenti mentre il mondo dell’editoria e della scrittura scompare e trionfa quello di Panorama, social network dentro al quale ridiviene per lui possibile relazionarsi attraverso un filtro/occhio questa volta imposto dal sistema.
Tommaso Pincio scrive un romanzo potente partendo da una storia minima riuscendo così a ricostruire un percorso intellettuale capace di vibrare oltre le soglie di una prevedibilità controllata restituendo una visione globale e interconnessa del mondo dentro cui siamo finiti. Non c’è cinismo, forse nemmeno nostalgia. L’angoscia e la paura fortemente presenti sono comunque lo sfondo nero e panicale dentro cui si muove la vicenda, ma è la forza ideativa che attrae maggiormente e che nasconde un’implicita voglia e necessità di cultura umanistica. Quello di Pincio si pone come un romanzo cardine, di passaggio delle possibili vie che la letteratura italiana nei prossimi anni andrà a percorrere. Non un’opera mondo, ma una sorta d’introduzione, di vademecum al nuovo mondo che per l’ennesima volta ancora non sappiamo d’aver scoperto.
Immagine: Tommaso Pincio, Sfere celesti, 2012-2015 (dettaglio dell’installazione).
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).