Sul numero 70 di Nuovi Argomenti “Dite quel…BIP…che vi pare” (in libreria dal 26 maggio) dedicato alla libertà d’espressione, abbiamo fatto dieci domande a una settantina di scrittori, poeti e intellettuali italiani. In occasione dell’uscita del numero ne pubblichiamo qui degli assaggi. Apriamo con Loredana Lipperini.
1. La libertà d’espressione deve tener conto di altre libertà (per esempio legate a: religione, credo politico, ruoli istituzionali, memoria storica, ecc.) o non deve essere limitata? Quali dovrebbero essere gli eventuali limiti e chi dovrebbe deciderli?
Credo ci sia un distinguo da fare tra libertà d’espressione e diffamazione o calunnia: il diritto di esprimere la propria opinione dev’essere difeso sempre, anche quando riguarda religione, politica, istituzione, memoria storica. Ma se io affermo che gli ebrei sono responsabili di un complotto mondiale, non solo dico il falso, ma contribuisco a costruire un immaginario devastante. Significa che bisogna mettere dei limiti alla libertà di espressione per legge? No, mai. La legge punisce già la diffamazione e la calunnia, e non occorre altro. Significa invece che bisogna costruire una consapevolezza sui limiti che da soli occorre darsi: in altre parole, bisogna costruire una cultura.
2. Rappresentazione artistica e opinione personale dovrebbero godere dello stesso grado di libertà di espressione?
Provo a rispondere citando il caso di Greta e Vanessa, le due volontarie rapite e accolte da una valanga di irriferibili insulti al loro rilascio. Ha esemplificato molto bene la questione Mauro Biani in una vignetta per «il manifesto»: si vedono le due ragazze e un tizio con la maglietta d’ordinanza dove campeggia «Je suis Charlie» che le apostrofa “Dovevate stare a casa e farvi i cazzi vostri”. Significa che la libertà d’espressione vale solo in alcuni casi? No, vale sempre. Ma quella che si è scatenata contro le due ragazze non è manifestazione di libero pensiero: è borbottio volgare, sfogo da basso impero, parlo perché sì, e se mi contrasti significa che sei contro la libertà, io sono Charlie e tu no.
Facciamo un minimo di chiarezza: i vignettisti di Charlie Hebdo sfidavano un tabù e sapevano quello che facevano, e lo facevano con competenza e talento. Non dicevano la primissima cosa che passava loro per la testa senza approfondire, senza pensare, solo-perché-si-può. Non mettevano in campo la propria pancia e i propri risentimenti, ma la propria testa. Chi scrive con le trippe non fa informazione libera, ma cerca una nevrotica consolazione, si accontenta della miseranda soddisfazione di chi insulta perché ha una tastiera sotto le dita (e questo fa sentire al sicuro, peraltro) e per quella manciata di minuti in cui vomita sulla rete si sente meglio. In altre parole ancora: se per rappresentazione artistica intendiamo la satira, occorre tener presente che la satira ha come bersaglio i potenti. Come scrive giustamente Michela Murgia: «Se per satira intendiamo un contropotere che castigat ridendo mores, intendiamo un luogo espressivo tutt’altro che irresponsabile. Quella è per me la sola linea di discernimento possibile: se colpisce un bersaglio fragile, non è satira. Se fai vignette contro i rom non fai satira, ma discriminazione. Se disegni contro le donne, i gay o i negri non fai satira, a meno che tu non stia castigando singole donne potenti, gay individualmente influenti o neri la cui negritudine comporti una posizione di dominio».
3. Dovrebbe essere diversa la libertà d’espressione di cui si può usufruire in ambito pubblico e in ambito privato? Perché?
No. Dovrebbe essere diversa la consapevolezza. Ancora oggi, anche fra persone che lavorano con le parole e che dovrebbero conoscerne il peso, questa consapevolezza non c’è: l’uso dei social network come luogo dove è permesso dire tutto come se si fosse nel proprio tinello è sconsiderato. Non condannabile (a meno che non si diffami, ripeto, e si affermi il falso), ma criticabile ed esecrabile sì. Al contrario, mi sembra che ancora oggi l’hate speech sia considerata una prova di intelligenza e arguzia, e che venga premiato con la popolarità. Dovrebbe, a mio parere, essere il contrario.
4. È giusto limitare la libertà di un cittadino di esporre o indossare simboli religiosi, politici, ecc.? Se sì, in che misura?
No. Detto questo, esiste una differenza non lieve fra libertà di indossare la catenina con la celtica ed erigere un monumento alla memoria di un criminale di guerra fascista.
5. Chi difende o appoggia pubblicamente atti violenti o illegali dovrebbe esserne considerato corresponsabile sotto un profilo etico e giuridico, o dovrebbe avere diritto a esprimere liberamente la propria convinzione?
Dipende. Erri De Luca ha tutto il diritto di appoggiare i No-Tav, che vengono considerati pericolosi terroristi e sono invece persone che difendono il territorio da un’opera sfregiante e insensata. Ma se incito a bruciare i campi rom, compio un’azione di cui devo essere chiamato a rispondere. So bene che il confine sembra esile: ma nel primo caso stiamo parlando di uno scrittore che usa una parola, “sabotaggio”, che ha un significato nobile e non violento. Nel secondo stiamo parlando di politici che usano la pancia dei cittadini per creare odio.
6. Si può ricorrere alla violenza fisica per l’affermazione di un ideale? Quali sono, se ci sono, i valori per la cui difesa varrebbe la pena ricorrere alla violenza o sacrificare la propria vita?
No. Gandhi ha dimostrato, e altri con lui, che è possibile opporsi a un potere senza levare la mano.
7. I valori della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sono assoluti e universali o tutto è soggetto alla storia e non esistono valori indiscutibili?
Semmai andrebbero applicati, non discussi.
8. Si può dire che è in atto uno scontro fra due o più civiltà diverse e inconciliabili? E se sì, quali sono le cause di questo scontro (culturali, religiose, politiche, economiche, ecc.)?
No, perché è semplificante. Lo scontro, semmai, è fra una concezione economica che ha provocato orrori e diseguaglianze e accentrato ricchezze nelle mani di pochissimi e il nostro futuro. Ha ragione Naomi Klein quando sostiene che capitalismo e devastazione ambientale sono strettamente connessi, e che l’unica possibilità di sopravvivenza nelle nostre mani è quella di cambiare quella concezione economica.
9. È possibile mettere a confronto e stabilire quale sia il migliore tra sistemi di valori di differenti civiltà?
È un esercizio che non mi attira, e che comunque è secondario rispetto a quanto detto prima.
10. Qual è lo stato della libertà di espressione in Italia? Ci sono argomenti tabù su cui risulta difficile o impossibile esprimersi liberamente?
Non mi sembra. Anzi, ci sono argomenti (i femminismi, per esempio) dove si compete volentieri, uomini e donne, a chi fa la battuta più volgare, offensiva, lacerante per ottenere il plauso della platea. Salvo non capire che in questo modo non si fa mezzo passo avanti per vivere in un paese più civile, e più felice.
Marco Cubeddu (Genova, 1987), ha pubblicato i romanzi «Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori, 2013) e «Pornokiller» (Mondadori, 2015). Scrive su diverse testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «Link - idee per la tv», «Il Secolo XIX», «Panorama», «Il Giornale» e «Linkiesta». È caporedattore della rivista letteraria «Nuovi Argomenti». Vive tra Roma e Milano. «L'ultimo anno della mia giovinezza», reality letterario sulla vita di Costantino della Gherardesca, esce per Mondadori il 30 gennaio 2018.