Sei poesie da Stamattina (Ladolfi, 2014).
RAMI
Com’era disabitata la sera
Dall’erba al celeste
Con appena una chiazza
Di neve vecchia verso i sassi
Eppure qualcosa pullulava
Qualcosa dovunque
Magari anche solo l’ombra
Dell’aria
E così qua notavi
Uno specchio di fango
Là un colore scuro
Dove il fiume si abbassa
E i rami
Ah quanti rami
Sul vuoto scrivevano
Che non so proteggermi
Neanche so alzare contro la fiamma
Una carta
*
STASERA
Stasera torno a casa per il parco
Ci metterò più tempo
Ma sono stanco della solita strada
Vorrei che la mia porta
Mi apparisse all’improvviso
Come appare un ricordo
O tra le nuvole il sole
O la fine di un pensiero
Nel mezzo di un discorso
Vorrei che il ritorno benché certo
Non fosse una necessità
Nel verde mi sembra di perdermi
Sento l’acqua del canale
Sento un merlo e così simile
Non l’avevo mai visto il soffione
*
ADESSO
Hemingway s’è ammazzato, tutt’a un tratto
Stanco di tutto, della sua leggenda…
Anch’io capisco adesso la malin-
Conia, ma credo che non morirò
Di questa. Io so, se ci penso, che cosa
Devo fare; finire questo libro,
Vivere alla giornata. Ho quasi cin-
Quant’anni, son diventato len-
To, odio quando mi si mette fretta.
Preferisco restarmene da solo
A casa, come adesso, a calcolare
Le spese, a scriver qualcosa o anche niente…
La radio mi ha chiamato per sapere
Se per caso avessi dichiarazioni
Da fare su Hemingway. No, ho risposto.
(dai Journals di Christopher Isherwood)
*
IL ROSA E IL VERDE
Che belli il rosa e il verde insieme!
Così non è nemmeno il cielo.
Piuttosto un petalo, uno stelo
Vorrei per me. Altrimenti un seme.
*
ANIMA
Se la mia anima fosse d’oro,
Callicle, tu non credi che
Sarei contento di trovare
Una di quelle pietre che
Provano l’oro, la migliore,
E che, avendole avvicinato
Quella, se mi riconoscesse
Che è stata ben curata, avrei
La certezza che basto e che
Non serve altra prova a provarlo?
(dal Gorgia di Platone)
*
I GIORNI
Su tutto è sceso il freddo. Ancora vado
A correre ma non è più com’era
Perché i colori sono morti e il guado
Si è riempito di ghiaccio e sembra sera
Dov’è l’ombra e la brina dura al sole
E l’acqua del canale stagna nera.
Corro e nel fango scrivo con le suole
Che sto passando e sul ceppo l’uccello
Trema e la torre specchia la sua mole
Nelle buie pozzanghere e il vitello
Soffia nebbia dal muso mentre studia
Il vuoto tra le sbarre del cancello.
E, l’ultima di molte moltitudini,
Vola una foglia con un largo giro
E si disperde tra i sentieri nudi.
Io corro incontro ai giorni che finirono.
***
Immagine: Nicola Gardini, Egg, oil on cardboard.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).