Uwe Kolbe nasce a Berlino Est nel 1957. Tra il 1982 e il 1985 la DDR gli proibisce di pubblicare i suoi lavori. Nel 1988 si trasferisce nella Repubblica Federale Tedesca, ad Amburgo, dove vive tuttora, dopo aver trascorso diversi anni a Tubinga e a Berlino.
La raccolta Lietzenlieder, da cui è tratta la poesia Voglia, rapporti, lingua, è uscita nel 2012 (Uwe Kolbe, Lietzenlieder. Gedichte. S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main 2012). Nel risvolto di copertina si legge: “Uwe Kolbe continua a cercare. Con grande disinvoltura e piacere si mette a indagare, in sonetti e poesie in versi liberi, pensieri e ricordi. In modo comparativo e associativo si avvicina a questioni di patria e biografia, osserva paesaggi e persone, negli USA e nel Brandeburgo. Si avventura nel campo della lingua, scoprendo cose leggere e cose pesanti, portando alla luce continuamente realtà inaspettate. Questo volume di poesie è un’ulteriore dimostrazione della sua profonda conoscenza delle tradizioni poetiche e della sua padronanza creativa della lingua”.
Con immagini cangianti, con un linguaggio irriverente e solenne, con toni che spaziano dal pathos all’autoironia, dall’alto stile alla sfrontatezza, queste poesie, ricche di allusioni, aprono un ampio spazio di associazioni storico-culturali. Nei Lietzenlieder Kolbe percorre tappe della sua biografia e giunge a determinare la propria condizione attuale. I Lietzenlieder sono una narrazione del vivere se stesso, un autoaccertarsi lirico-biografico.
La traduzione italiana della poesia ha vinto la decima edizione del “Premio Letterario Internazionale Merano Europa” nel 2013.
Werner Menapace
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VOGLIA, RAPPORTI, LINGUA
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Incalzante la voglia, disse la tredicesima fata
posandosi sulla mia testa. Azzurro raggiante!
risuonò dalle pendici di Pompei
che stavo guardando, incalzato,
ma al sicuro. La barca andava,
tela sbatté contro ferro, ferro stridette su legno,
chi domandava ebbe una risposta, io no,
io sentivo le voci del corpo.
Con chi domandava si confidavano rive.
Boccheggiavo, assorbivo acidi,
il marmocchio fu riportato all’ospedale.
La barca ormai venduta, tolta da sotto
il sedere, i talloni perforati,
trasformato in pendolo, penzolavo, fata in giù,
solcavamo la terra, odoravamo di stagione di funghi.
Bambino andò perso, imparai a leggere
la scritta sulle pareti di Pompei,
nulla durava, eccolo lì, visto attraverso
l’intimo della fata, lente focale, così rimaneva
e suppurava, lo scavare dell’anima
nel nesso spastico-fantastico.
All’inizio la libidine priva di resistenza,
il testo originale nel mio adorato tedesco.
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LUST, UMGANG, SPRACHE
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Bedrängnis vor Lust, sagte die dreizehnte Fee
und setzte sich auf meinen Kopf. Strahlender Azur!
tönte es von den Halden Pompejis,
auf die ich schaute, bedrängt,
aber sicher. Das Boot fuhr,
Tuch flappte an Eisen, Eisen schrie über Holz,
wer fragte, erhielt eine Antwort, ich nicht,
ich hörte die Stimmen des Leibes.
Wer fragte, dem sprachen sich Ufer zu.
Ich japste nach Luft, sog Säuren ein,
man brachte das Balg in das Hospital zurück.
Das Boot nun verkauft, unterm Hintern weg
gezogen, die Fersen durchstochen,
zum Pendel gemacht, hing ich, Fee unten,
wir furchten die Erde, rochen nach Pilzsaison.
Kind ging verloren, ich lernte zu lesen
die Schrift an den Wänden Pompejis,
nichts währte, da stand es, durchs Innere
der Fee, Brennglas, gesehen, das blieb so
und schwärte, das Graben der Seele
im spastisch-phantastischen Nexus.
Am Anfang die widerstandslose Wollust,
der Grundtext in meinem geliebten Deutsch.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).