Continua la serie delle interviste agli editor italiani.
Abbiamo sottoposto il nostro questionario a Vanni Santoni, editor di narrativa per Tunué.
Hanno già risposto alle nostre otto domande: Ginevra Bompiani, Carlo Carabba, Stefano Izzo, Chiara Valerio, Gabriele Dadati, Giulia Ichino, Andrea Gentile, Matteo Alfonsi, Nicola Lagioia, Federica Manzon, Elisabetta Migliavada, Jacopo De Michelis, Francesca Chiappa, Giuseppe Catozzella, Giulio Mozzi, Andrea Caterini.
1) Quali sono le caratteristiche principali che un libro deve avere per colpire la sua attenzione?
Deve essere scritto bene. La buona prosa è tutto e non esistono storie così buone da poter essere raccontate in qualunque modo.
Questo parlando in generale. Nello specifico, poi, della collana di narrativa di Tunué, avendo cominciato con due libri come Dettato e Stalin+Bianca, scritti da autori esordienti rispettivamente classe ’86 e ’88, ci stiamo configurando anche come una collana di ricerca di nuove voci, ma non voglio che ciò diventi una gabbia. Di nuovo, quello che mi interessa è solo la qualità della scrittura.
2) Se e in che modo è cambiato il suo modo di leggere negli ultimi anni?
4) Ci parli della sua formazione culturale, il suo percorso fra gli autori e le letture.
Se comincio si fa notte… Diciamo che ci sono state tre fasi. La prima, dai tre (ho cominciato a leggere seriamente molto prima di andare a scuola) ai venticinque anni è stata una fase onnivora abbastanza casuale. In casa c’erano molti libri e fumetti, li leggevo; i miei mi compravano altri libri e fumetti, li leggevo; a scuola proponevano libri, li leggevo.
A ventisei anni entrai in una rivista autoprodotta, lì c’era gente che scriveva da anni e quindi leggeva in modo diverso. Strutturava percorsi di lettura, si chiedeva come e perché l’autore x aveva scritto la cosa y… Da lì cominciai a leggere “da scrittore” e anche a scegliere le mie letture in modo meno casuale. Prima di tutto cominciai a “tappare i buchi”, sia all’indietro – fin lì avevo letto di tutto ma, pur bulimico, andavo a caso, tendevo a saltare di autore in autore, un libro di Céline, uno di Tolstoj, uno di Fitzgerald, una tragedia di Sofocle, una raccolta di Blake, un brano dei Veda, un racconto di Borges… Insomma un gran casino che era importante ricucire e rimettere in ordine – che in avanti, ovvero guardando maggiormente alla letteratura del secondo novecento, su cui ero poco preparato: appena cominciai a gingillarmi con l’idea di scrivere i libri sentii forte la necessità di vedere cosa facevano i miei contemporanei. Fu quasi una sorpresa scoprire che ce n’erano diversi che spaccavano, e allora giù corpate di DFW, Bolaño, Pynchon, Houllebecq, DeLillo…
Il terzo stacco è avvenuto nel 2007, quando abbiamo fondato il progetto di scrittura collettiva SIC. Quando si compone col metodo SIC si selezionano parti di testo tra varie che descrivono la stessa cosa, e poi le si usano come in un mosaico: lì ho imparato a leggere le cose altrui con l’obiettivo di selezionare le migliori e poi ottimizzarne l’efficacia. Un’abilità che è venuto naturale riportare nel lavoro di editor.
3) Quale pensa che sia il ruolo di un editor oggi? Crede che debba influenzare le scelte dell’autore fin dal concepimento dell’opera?
Intanto è bene ricordare che l’editor ha già di per sé due ruoli completamente distinti. Uno è quello di selezione dei testi da pubblicare. L’altro il lavoro di revisione, assieme all’autore, su tali testi.
Il primo è un lavoro, se vogliamo, affine al casting, quindi non c’è niente da influenzare, si tratta semplicemente di (cercare di) scegliere i testi migliori in base a un principio generale di qualità e a uno più specifico, legato alla collana e alla casa editrice per cui si lavora.
Il secondo, l’editing vero e proprio, di solito avviene quando c’è già qualcosa – se non una bozza già ultimata, un’idea forte di come sarà il libro corredata da qualche decina di pagine, quindi non si tratta tanto di “influenzare” quanto piuttosto di indirizzare, ma verso la direzione che il libro già ha. L’editing è un processo maieutico: più che intervenire, si deve agevolare, instaurando un dialogo, la fuoriuscita del vero testo, che a volte sta nascosto sotto roba poco utile o rimane inespresso a causa di una insufficiente consapevolezza da parte dell’autore delle proprie reali intenzioni.
5) A chi si ispira nel suo lavoro sui testi, ha un modello di riferimento? È cambiato nel corso del tempo?
Ho avuto la fortuna di pubblicare per svariati buoni editori e vedere il lavoro dei loro editor sui miei testi mi ha insegnato molto. Ma su tutto credo che siano stati i sei anni di lavoro con il progetto SIC a formarmi rispetto al lavoro sui testi altrui. Anche il rasoio di Occam aiuta abbastanza.
Per quanto riguarda invece il lavoro di pura ideazione fatto per la collana “Romanzi” di Tunué, sono stati molti gli esempi virtuosi – editori indipendenti che hanno costruito a un tempo una identità riconoscibile e un catalogo di qualità – a cui mi sono ispirato, penso a Marcos y Marcos, minimum fax, ISBN, E/O, Nottetempo, Voland, solo per citarne alcuni. Dato poi che “Romanzi” si sta anche configurando come una collana di ricerca, è stato naturale guardare anche al lavoro di Tondelli nella vecchia Transeuropa. Per la parte estetica, invece, il primo modello che ho suggerito allo studio grafico è stato quello della Verlag Die Schmiede – l’idea era semplice, togliere più fronzoli possibile così che l’attenzione non potesse che andare al testo.
6) Qual è la parte più difficile del suo lavoro? E la più frustrante?
Ho scoperto che mi viene abbastanza naturale fare questo mestiere e per ora non ho incontrato particolari difficoltà, se non forse il lavoro sul testo in quella fase, prossima alla conclusione, in cui lo conosci così bene che diventa più difficile trovare suggerimenti volti a migliorarlo, o anche solo difetti sfuggiti fin lì alla revisione.
La più frustrante, per ora, è sicuramente l’apertura dei manoscritti che arrivano in casa editrice. Si spera, si spera, e difficilmente c’è qualcosa di anche solo dignitoso. Anzi, visto che un romanzo – Dettato di Sergio Peter – l’abbiamo già trovato dagli invii “puri”, probabilmente non ce ne toccheranno altri.
Immagino poi che sia frustrante lavorare a un libro e vederlo avere una vita breve e pochissimi riscontri. Per ora fortunatamente non è accaduto, tanto Dettato che Stalin+Bianca sono andati esauriti e hanno avuto un’ottima ricezione critica, specie il secondo, il cui successo ha davvero lasciato tutti a bocca aperta. Ma immagino che verrà il momento – l’ho visto succedere a troppi libri buoni – in cui dopo aver sputato sangue su un testo assieme all’autore per mesi, poi lo manderemo in libreria e non se lo filerà nessuno. Ecco, quello sarà frustrante.
7) Quali autori del passato ha amato? Quali pensa che oggi incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati, e perché?
Ne ho amati qualche centinaio, mi parrebbe futile mettermi a fare una lista… Quella dei bei libri che “oggi incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati” mi pare una semplice leggenda. La verità è anzi opposta, oggi si sovrapubblica, e anche la semplice decenza di un testo di solito è lettera di viaggio sicura per la pubblicazione. Se è vero che a volte una major può rifiutare un libro buono in cui non vede un immediato potenziale commerciale, così come è naturale che ogni casa editrice, facendo un numero limitato di libri l’anno, ignori o scarti proposte valide, è davvero difficile che un libro ottimo alla fine rimanga inedito. In Italia le case editrici sono tante e sotto sotto tutti gli editor, anche quelli dalla reputazione più bieca, sono alla disperata ricerca di roba buona da far uscire, roba che purtroppo arriva solo di rado. A mio vedere c’è un solo Guido Morselli nella storia dell’editoria italiana del secondo dopoguerra.
8) In che modo è cambiato il modo di leggere? Secondo lei cosa cercano oggi i lettori in un libro?
Non sono sicuro che il modo di leggere sia cambiato. Ci sta che sia cambiato il modo di leggere dei famosi “lettori da un libro l’anno”, ma non mi interessa rivolgermi a loro. Mi interessa invece tornare a dare la massima attenzione ai lettori che di libri all’anno ne leggono trenta. E quelli mi sa che sono rimasti più o meno uguali. Per farli contenti credo si debbano fare libri belli, tenerli più tempo in libreria, farli costare meno, ristampare libri belli che erano stati troppo poco tempo sugli scaffali, ricominciare a lavorare a lungo termine sugli autori, insomma offrire loro un panorama editoriale sano.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).