Intervista alla spia

da | Mag 21, 2014 | Senza categoria

«Come ti chiami?» domandò, senza alzare lo sguardo.
«Nellie Brown» risposi.
«Da dove vieni?»
«Cuba.»
«Oh» esclamò entusiasta.
(Nellie Bly, Dieci giorni in manicomio)

«Le sbarre, il buio, l’odore. Ecco cosa mi ricordo del manicomio di Blackwell’s.»
«E poi?» «Un ragazzo, avrà avuto vent’anni, teneva gli occhi chiusi, se ne stava in un angolo, in silenzio, non diceva mai una parola, tremava quasi sempre. Nessuno gli dava retta, non i dottori, nemmeno un infermiere. Una volta lo avvicinai. Eravamo al refettorio, una stanza enorme e scura dove ce ne stavamo tutti senza niente da fare per delle ore, rimanevamo immersi nel vuoto, in silenzio. Lui mi fissò, ma non mosse un muscolo, non mi chiese niente. Non mi domandò, come facevano gli altri, come facevo anche io, il nome o da dove venissi. Mi puntò in faccia le sue pupille chiare, sembravano trasparenti tanto erano limpide e umide, poi: che ci fai qui? tu non sei pazza. Aveva capito la verità, ma era stato l’unico.»

Nellie sospira, si afferra una ciocca di capelli e se la passava
sulle labbra. È bella come certe statuine di porcellana. Il corpo magro, avvolto in un vestito di fiori e merletti, non ha niente da spartire con il viso, la mascella serrata e gli occhi seri, che non ammette repliche o trattive.
La sua strada è stata lunga, incominciata con quella fortuna casuale che ha segnato la storia di molti grandi. Era un giorno del 1880 quando, dopo aver letto un editoriale maschilista pubblicato sul «Pittsburgh Dispatch», scrisse al direttore. La
lettera era intensa, buona la lingua, intelligenti le argomentazioni. Non sembrava a firma di una giovane di umili origini.
Dopo averla letta, il direttore, a corto di personale, propose un posto al misterioso autore. Era convinto che fosse maschio. Si trovò davanti una ragazza, cambiò idea, discussero, alla fine la prese lo stesso. Elizabeth Jane Cochrane venne battezzata così, grazie a una canzone di Stephen Foster, Nellie Bly. Fin dall’inizio la sua cifra fu chiara: il mondo femminile, delle lavoratrici e delle miserabili, sarebbe stato il suo campo d’azione.
«Quel ragazzo era stato l’unico a rendersi conto che stavo recitando. Il giudice, i dottori, gli infermieri… Tutti pensavano per davvero che fossi pazza. Una bella, disperata, ragazza che da un momento all’altro aveva dato i numeri ed era stata ricoverata.»
Il suo sguardo per un attimo si perde, sembra andare altrove. Forse è di nuovo lì, nel manicomio dove si fece rinchiudere nel 1887 con la missione di raccontare per il «New York World» di Joseph Pulitzer che cosa accadeva in uno dei pozzi neri della Manhattan di allora. La serie di articoli in cui avrebbe raccontato la sua esperienza, che sarebbero diventati anche un libro, l’avrebbero resa famosa. E il tribunale di New York avrebbe aperto un procedimento a partire dalla sua denuncia; il risultato sarebbe stato l’aumento dei fondi del manicomio di 1.000.000 $ l’anno.
«La verità è che non mi ha sconvolto la sporcizia, la miseria, la violenza. Non mi ha sconvolto la situazione drammatica in cui vivevano i pazzi, in cui ero costretta a vivere anche io, come una bestia, peggio di un topo. Da bere ci davano acqua sporca, nonostante il freddo non avevamo coperte, la spazzatura era ovunque, il cibo della mensa era andato a male e le dosi non sarebbero state sufficienti a saziare un uccellino. Non mi ha scioccato nemmeno quando, e posso giurarle che c’è stato ho creduto di essere pazza per davvero. Ho pensato che fosse quella la realtà, che Nellie Bly non esistesse, che io fossi sul serio Nellie Brown da Cuba, la pazzoide.» Ha le labbra screpolate, se le inumidisce un poco. «La cosa che mi ha traumatizzata è stata la facilità.» Alza un poco lo sguardo, e i suoi occhi sono verdi e da gatto. «È bastato lasciare andare per un giorno le redini della mia vita, smetterla di tenermi sotto controllo, per finire in un manicomio giudicata “gravemente demente” per un dottore, “senza speranza” per un altro, “senza dubbio psicolabile” per il giudice. Rinchiusa in meno di ventiquattro ore. E se è successo a me, può capitare a chiunque.»
«A chiunque, ne è sicura?» Mi avvicino un poco, teatrale, lasciando da parte il registratore. «Non credo che a me potrebbecapitare, se posso essere sincera.»
Per un attimo Nellie socchiude le palpebre, come se stesse
per prendere fuoco. Succedeva anche a me, tanti anni fa. Allora mi chiamavano cerino. Ci mettevo un attimo a incendiarmi, e a bruciare tutto quello che mi si presentava intorno.
«Lei vuole farmi innervosire, lo so. È un trucco che usavo anche io. Ma è un trucco da quattro soldi.»
Sorrido. Anche lei sorride.
«Se pensa che sia possibile mettere una barriera fra le cose, fra la vita e la scrittura non abbiamo altro da dirci.» D’improvviso, la sua voce non ammette repliche. «Il giornalismo è quello di chi non parla per sentito dire, per suggestioni, per comunicati, ma guarda con i propri occhi e poi scrive. Il giornalismo è solo in prima persona.» Si infila la mano in una tasca, cerca qualcosa. «Anzi, mi correggo, questo è il vero giornalismo. Il giornalismo è tutto il resto.»
Ha un’espressione di sfida, una di quelle che si stampano in faccia i bambini prima di fare un dispetto e già pregustano la minaccia di una punizione che non si concretizzerà mai.
«Non mi dica che si è fatta rinchiudere dieci giorni in un manicomio soltanto per amore di verità.»
«È così.»
«Se io non devo prenderla in giro, non faccia altrettanto» rispondo. Intanto dalla cartellina prendo un giornale antico, le pagine sanno di polvere e con gli anni sono diventate così sottili da essere quasi trasparenti. «Chi fa questo lavoro è fondamentalmente un narcisista, non un idealista. E lei lo sa bene, perché di punto in bianco ha lasciato tutto, si è sposata un miliardario, ed è ritornata al giornalismo solo quando non aveva più scelta, le servivano i soldi.»
Le allungo l’articolo, lei dà una svelta occhiata alla pagina, poi la scansa, quasi quel pezzo scritto dal fronte austriaco nel 1914 non fosse più suo; il tempo passa per tutto, anche per la paternità delle parole.
«Forse adesso, ma prima non era così. C’era un brivido vero, prima, quando denunciavi qualcosa, quando le persone capivano che lo facevi per loro, quando…» Mi guarda come se non potessi capire, eppure ho letto tutto quello che ha scritto nella sua intera vita. Faldoni e faldoni di articoli in bianco e nero, con le lettere che si confondevano, con quell’inglese elegante e senza fronzoli, fuori da ogni epoca; con le storie che sembravano raccolte ieri, perché tanto l’umanità, e le sue miserie, non cambiano mai.
«Sa cosa mi ha detto una volta un amico?»
Scuoto la testa.
«Che c’è chi ama fare il pane, e allora fa il fornaio. Quello che vuole curare la gente e quindi diventa medico. Quello che credenella giustizia e si laurea in giurisprudenza.» Si ferma, e mi guarda. «Esiste quello che vuole conoscere tante vite, e fa l’attore.»
Tira fuori dalla tasca un sacchettino rosa di pelle, piccolo e morbido. Me lo allunga. È liscio, profuma di talco. Ho letto da qualche parte, forse nel lungo reportage che fece dal Messico dove visse per sei mesi sotto copertura ad appena ventun’anni, che ne aveva comprato uno simile, e dentro ci metteva tutta la speranza che le sarebbe servita nei momenti difficili, quando le certezze sono come la sabbia e si perdono nel vento.
«C’è l’adrenalina della verità.» Inclinata la testa. «O, come direbbe lei, della spia.»
Nella sua lunga carriera Nellie Bly ha raccontato da infiltrata decine di mondi. È stata prostituta, mendicante, donna abusata, ma anche abitante del più caldo palazzone di New York nella torrida estate del 1894, anarchica, viaggiatrice instancabile intorno al mondo, suffragetta, disoccupata in cerca di impiego. Ha cambiato pelle, ha cambiato nome, faccia, vestiti, connotati. È rimasta sempre soggetto, e oggetto, di tutti i suoi lavori. Fin dal primo articolo, diciannovenne, quando si finse operaia in uno scatolificio.
«E poi, soprattutto, ci sono i casi di confine. Gli uomini e le donne che vogliono essere tante cose, ma ne sanno fare soltanto una per bene. Allora scrivere diventa l’unica alternativa per andare avanti. Per guadagnare, ma soprattutto per vivere.» Avvicinandosi un poco, con un profumo di menta e cannella,
«capisce che intendo?».

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).