Continua la serie delle interviste agli editor italiani.
Abbiamo sottoposto il questionario a Jacopo De Michelis, responsabile della narrativa per Marsilio. Hanno già risposto alle nostre otto domande: Ginevra Bompiani, Carlo Carabba, Stefano Izzo, Chiara Valerio, Gabriele Dadati, Giulia Ichino, Andrea Gentile, Matteo Alfonsi, Nicola Lagioia, Federica Manzon, Elisabetta Migliavada.
1) Quali sono le caratteristiche principali che un libro deve avere per colpire la sua attenzione?
Molto in generale, le prime cose che devo sentire in un testo sono uno sguardo e una voce, ovvero, l’autore deve saper guardare al mondo con occhi nuovi e raccontarlo in maniera inedita, con uno stile forte e originale.
2) Se e in che modo è cambiato il suo modo di leggere negli ultimi anni?
Il cambiamento più profondo riguarda i tempi di lettura e valutazione. Oggi capita sempre più spesso di dover leggere un dattiloscritto e prendere una decisione riguardo alla sua eventuale pubblicazione assai velocemente, in pochi giorni se non addirittura poche ore, anche in casi in cui ci sono in ballo anticipi consistenti. È una tendenza che sta prendendo sempre più piede, da parte di editori e agenti, quella di proporti il nuovo hot title o (presunto) futuro caso editoriale con deadline ravvicinatissime entro cui fare un’offerta, il che di fatto impedisce un giudizio meditato e approfondito, facendo assomigliare pericolosamente, sempre di più, il nostro lavoro a una forma di gioco d’azzardo.
3) Quale pensa che sia il ruolo di un editor oggi? Crede che debba influenzare le scelte dell’autore fin dal concepimento dell’opera?
Il ruolo fondamentale secondo me non riguarda tanto il lavoro di editing o revisione, ma resta quello che attiene alla scelta di cosa pubblicare e cosa no, fiutando il talento e le potenzialità editoriali in un dattiloscritto pescato a caso nella montagna perennemente accumulata sulla scrivania – e ora anche nella casella email – di ogni editor.
Per quanto riguarda invece il lavoro sul testo con l’autore, il bello e il difficile è che non ci sono regole e metodologie generali valide sempre e con tutti. Con ogni scrittore si instaura un rapporto diverso, a seconda delle sue caratteristiche ed esigenze. In generale, laddove l’autore ne senta il bisogno e si renda disponibile, secondo me un confronto con l’editor quando l’opera è ancora in uno stadio embrionale può essere assai utile, perché è molto più difficile intervenire a posteriori in profondità su un testo che per un motivo o per l’altro a stesura ultimata ci si rende conto che non funziona.
In ogni caso, secondo me l’atteggiamento dell’editor nei confronti dell’autore deve restare di tipo essenzialmente maieutico, persuasivo. L’editor deve sempre vincere la tentazione di imporsi sull’autore, o di sostituirsi a esso.
4) Ci parli della sua formazione culturale, il suo percorso fra gli autori e le letture.
Sono cresciuto con i classici dell’avventura, da London, a Conrad, a Verne. Da ragazzo amavo molto la cultura mitteleuropea e il mio pantheon letterario era composto da Marcel Proust, Robert Musil e Franz Kafka. Negli anni dell’università – sono laureato in filosofia – studiavo religiosamente Heidegger, Wittgenstein e Derrida. Ma parallelamente, oltre a quella per le tecnologie digitali e i nuovi media, ho sempre coltivato una passione per i fumetti o come si usa dire ora le graphic novel, il cinema e ultimamente le serie Tv. Oggi, pur occupandomi di letteratura italiana e straniera, di genere e non, devo dire che il mio pallino è la narrativa poliziesca, in particolare thriller e noir. Qualcuno, più che un’evoluzione del gusto potrebbe considerarla un’involuzione, ma tant’è…
5) A chi si ispira nel suo lavoro sui testi, ha un modello di riferimento? È cambiato nel corso del tempo?
No, non credo di avere dei modelli precisi, e nel corso del tempo se il mio modo di lavorare è cambiato, lo è stato nel senso che, spero, ho acquisito maggiore esperienza e affinato la mia sensibilità.
6) Qual è la parte più difficile del suo lavoro? E la più frustrante?
Non dovrei dirlo, temo, ma la parte del mio lavoro che meno amo è occuparmi dei premi letterari.
7) Quali autori del passato ha amato? Quali pensa che oggi incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati, e perché?
Questa accusa più o meno larvata, che oggi i grandi capolavori del passato farebbero fatica a trovare un editore, ultimamente l’ho sentita diverse volte, e come tutte le critiche indimostrabili mi fa andare discretamente in bestia. Tra l’altro più d’uno dei suddetti capolavori, oggi assurti allo status di classici, ai suoi tempi ha subito sonori rifiuti (basti pensare a Gide che cassa la Recherche di Proust per Gallimard, o a Einaudi che nelle persone di Natalia Ginzburg e Cesare Pavese respinge Se questo è un uomo di Levi costringendolo a pubblicarlo presso un piccolo editore). Recentemente mi è capitato di leggere una scheda di valutazione de L’uomo senza qualità scritta dal Bobi Bazlen nel 1951. Bazlen, certo, riconosce la grandezza dell’opera, ma esprime anche una serie di preoccupazioni riguardo alla sua vendibilità, descrivendola come troppo lunga, troppo frammentaria, troppo lenta e troppo “austriaca”. Considerazioni che all’orecchio di qualcuno oggi potrebbero suonare sacrileghe, ma che a me invece paiono perfettamente legittime e giustificate visto il ruolo che in quel momento rivestiva Bazlen, il quale scriveva non in veste di critico ma di consulente editoriale. Credo basti questo a dimostrare come editor ed editori di oggi non siano per nulla diversi da quelli di ieri, capaci di folgoranti intuizioni così come, inevitabilmente, di clamorosi abbagli.
8) In che modo è cambiato il modo di leggere? Secondo lei cosa cercano oggi i lettori in un libro?
Più che il modo di leggere, credo che stiano radicalmente, drammaticamente cambiando il ruolo e lo spazio che la lettura ha nella società in generale e nella vita di ognuno. Nel senso che l’impressione è che si riducano sempre di più, per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo analizzare qui.
Quanto a ciò che i lettori cercano oggi nei romanzi, penso che, la maggior parte almeno, cerchino una storia e dei personaggi che sappiano emozionarli e coinvolgerli. Che forse non è molto diverso da quello che hanno sempre cercato.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).