Verso Galveston

da | Apr 8, 2014 | Senza categoria

La strada che da New Orleans porta a Galveston è costellata da luci di centrali, motel, dalle stazioni di servizio con i telefoni sbilenchi e i bar aperti fino a notte fonda. È buia di foreste, di corsie vuote, di notti dove il cielo è un po’ più nero che in città. È illuminata dai fanali delle auto, dalle sirene della polizia. “Galveston” è il romanzo di Nic Pizzolatto (il creatore di True Detective, una produzione HBO), “Galveston” è un on the road, è l’ultima fuga di Roy Cady, è la lettera d’amore per posti senza dolcezza, con le zanzariere fatte a pezzi e le auto che arrugginiscono sotto il sole.

«Nasci, e quarant’anni dopo esci barcollando da un bar, sbigottito dai tuoi stessi acciacchi. Nessuno ti conosce. Guidi lungo superstrade non illuminate, e ti inventi una destinazione perché il segreto è il movimento. E così ti dirigi verso l’ultima cosa che ti resta da perdere, senza avere davvero idea di cosa ne farai.»

New Orleans, Maggio 1987
«Alcuni luoghi ti si spalancano davanti, ma non c’era niente che assomigliasse a un accesso, a New Orleans. La città era un’incudine sommersa che sosteneva la sua stessa atmosfera. Il sole sfolgorava tra gli edifici e le querce e sentivo la luce sul mio volto e poi l’ombra, come una strobo.»
Non si sono accessi a New Orleans, non ci sono rifugi, «il bar di Stan portava il suo nome, era un edificio di mattoni con il tetto in lamiera, le finestre con le sbarre e una porta di metallo ammaccata». Uno di quei posti in cui la cameriera sa come ti chiami e come bevi il whisky. Non saresti riuscito a entrare, se non li conoscessi già tutti.

Interno 12, 2° piano, Franklyn Street, New Orleans
Stan ti ha dato l’indirizzo – è «una fatiscente palazzina di miniappartamentini accanto a una schiera di magazzini: muri di mattoni pallidi, coperti di graffiti, erbacce alte che sfumavano nel lotto abbandonato giusto a fianco. Catorci scassati nel parcheggio, quell’aria densa di petrolio e spazzatura calda che circola per New Orleans». Il sole colpisce il parabrezza e tu cerchi di «concepire di non esistere», la sensazione soffocante è la stessa che provavi a 12 anni quando guardavi la distesa sterminata di campi di cotone. La sensazione ha un nome: Non Ce La Farai Mai. Ti muovi e entri nell’appartamento. Hai già vissuto in posti così: appartamentini con un paio di mobili e spazzatura dappertutto, programmi di corse di cavalli.

Metaire, campeggio per case mobili
È successo qualcosa ma «fuori il mondo era quasi troppo tranquillo.; le querce e gli aceri che circondavano la zona non sembravano neppure frusciare, erano sospesi su quelle piccole scatole in un’aria immobile». Da te la natura si riprende i suoi spazi, ma non useresti la parola idilliaco. Un bagliore smorzato «illuminava le fronde degli alberi e i giocattoli di plastica e i copertoni che facevano capolino negli spazi fangosi». Nel posto dove vivi, c’è solo una poltrona reclinabile dove bevi fino ad addormentarti tutte le notti. «Un esercito di lattine di High Five vuote copriva il pavimento»: hai tagliato delle strisce di sui lati in modo che si pieghino come braccia, sono le tue guardie e i tuoi amici. Rocky, la ragazza che hai finito per salvare e portarti dietro, ti dice che hai un sacco di film ma niente mobili. Tu le dici che ve ne dovete andare.

I-10, direzione ovest, fuori dalla Louisiana
Passate alberi e paludi e l’oscurità liquida sotto l’Atchafalaya Basin. Rocky ti racconta che è texana come te, e tu pensi a quando eri bambino, l’intrico della foresta e dei rampicanti ti sono sempre sembrati pieni di ombre, contenenti un mondo sommerso. Fuori dal finestrino: «le torce delle raffinerie bruciavano nella notte e le loro scie di fumo grigio chiaro mi fecero venire in mente Loraine seduta su quella spiaggia a Galveston». La notte non è mai nera, se hai qualcosa da ricordare.

The Starliter motel, da qualche parte lungo l’interstatale
«Nella stanza c’era solo un letto a due piazze e il condizionatore faceva tremare le finestre». La mattina dopo «la luce del giorno, bagnata e tediosa, filtrava giallastra dalla finestra della nostra stanza […]. C’era come una promessa infranta nei muri freddi di quella stanza. Vecchie speranze che mi abbaiavano dentro come spettri inquieti, le stesse vecchie frustrazioni, vecchi risentimenti, e mi faceva incazzare trovarmeli fra i piedi quella mattina, che mi stessero alla calcagna dopo tutti quegli anni». Nessun posto è neutrale e «la luce perlacea riempiva il cielo, trascinava via le ombre dalla vernice bianca e scrostata del motel, rivelando una macchia di umidità che attraversava tutto l’edificio a forma di U. Le crepe segnavano la strada fino ai bordi, dove l’asfalto si spaccava in piccoli pezzi». Le crepe non sono metaforiche, l’umidità che ti schiaccia a terra non è simbolo di niente: tu sei questi luoghi, ci hai vissuto per sempre, se te ne vai, finirai per vivere in posti che sono solo la copia di questi, quindi eviti di dirtelo.

Orange, la città di Rocky
Superate i quartieri con le case sgangherate dove «ogni cosa cerca l’ombra». Arrivate nelle valli invase dai rampicanti, oltre i campi di roulotte e una stazione di servizio – su un cartello nero qualcuno ha scritto L’INFERNO ESISTE e parlava per esperienza. La casupola dove viveva Rocky è circondata da rottami, scaldabagni arrugginiti, sacchi da pugili gonfiabili a forma di pagliaccio, plastica, rampicanti intorno alla lamiera, «come se il campo la stesse lentamente digerendo». «Sembrava il genere di posto che i motociclisti usano per preparare la metanfetamina».

Galveston, Texas
«Il Texas si trasformava in un deserto verde destinato a martellarti con la sua vastità, un mortaio pieno di cielo. Le ragazze lo ammiravano come uno spettacolo di fuochi di artificio. […] Era un posto in cui potevi negoziare il futuro. Gettare i tuoi ricordi nella luce bianca del Golfo come foglie in un falò». Ti ricordavi la spiaggia diversa, dall’ultima volta che c’eri venuto con Loraine.

Emerald Shores, Motel, Statale 3005, Galveston
«Un cartello diceva SI AFFITTA A SETTIMANE […]. Il parcheggio era vuoto, fatta eccezione per un paio di macchine con le antenne piegate e le finiture arrugginite […] una fila di finestre era ricoperta di carta stagnola. Era il genere di posto per gente che non sapeva dove altro andare, un motel dove di tanto in tanto qualcuno prendeva una stanza per suicidarsi». La tappezzeria è sbiadita, i tubi fanno rumore, ci sono macchie di umidità e la tv, sembra un posto dove sei già stato – e infatti ci sei stato. Il passato ti rende sentimentale, soprattutto quando vai a trovarlo.

Amarillo, Texas
«Amarillo era stazioni di servizio e magazzini, strip club da due soldi fra un motel e l’altro, un vento che portava via». Ci arrivi per caso in questo avamposto dalle luci brillanti, questa è una area di sosta per camionisti che si finge piccolo villaggio. C’è un motel con le stanze basse, un negozio di ciambelle.

Galveston, Texas, Settembre 2008
È la stagione degli uragani e «il cielo è una distesa di nubi plumbee e serpeggianti». Ripensi al 1987, mentre il tuo cane corre: Rocky che ti racconta di quando aveva dormito sul sedile posteriore di una macchina in mezzo ai boschi, mentre sua madre era in una roulotte con un uomo. Ci pensi – a quello e al fatto che «le storie sono diventate il luogo». Uno scrittore ha detto «che le storie ci salvano, ma ovviamente sono tutte cazzate. Non ci salvano affatto. Però salvano qualcosa».
Il pontile sembra una cattedrale sommersa, non sai consacrata a cosa. Senti odori di persone che non vedi più. Ne parli alla riunione degli Alcolisti Anonimi, «le testimonianze permettono di impacchettare i ricordi, di rilegare anni di degrado e di colpa in una specie di fascicoli più ordinati che possiamo mettere su uno scaffale, per poi tirarli fuori e sfogliarli nella sicurezza dei racconti».

Sono cinque anni che abiti qui, in un monolocale con un divano che si trasforma in un letto a una piazza e mezzo. La tv non funziona da un paio di mesi, i libri accumulati uno sull’altro occupano la maggior parte della parete. Se adesso ti vedesse Rocky direbbe che non hai più film, ma ancora non hai mobili.

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).