A 55 anni dalla morte vogliamo ricordare il padre di Philip Marlowe con alcune lettere sullo scrivere e sull’essere scrittori, apparse nel volume Parola di Chandler, edito da Coconino Press.
Lettera a Carl Brandt, agente letterario di Chandler a New York, 22 luglio 1949.
Se mi trovassi a scrivere quello che è definito un romanzo serio, potrei avere successo o potrei non averlo, ma di certo non lo avrei per via di ciò che ho scritto prima. Questo dilemma, del resto, è sempre esistito. La parte intelligente del pubblico di uno scrittore spinge per un cambio di passo, vuole che egli provi nuovi temi e nuovi luoghi, ma il grosso del pubblico che compra i suoi libri compra lo stesso prodotto che ha sempre comprato. Fino a ora mi è sempre sembrato che il pubblico dei romanzi tradizionali sia più attratto dal tema, dall’idea, dalla linea di pensiero e dall’attitudine sociologica o politica e sempre meno della qualità di scrittura in sé. Per esempio, se io dovessi considerare 1984 di Orwell puramente come opera di narrativa non lo metterei molto in alto. Non c’è magia, le scene sono solo passabilmente costruire e i personaggi hanno molta poca personalità; in breve non è scritto meglio, artisticamente parlando, di un giallo inglese fatto bene e ben costruito. Ma il suo pensiero politico fa la differenza e laddove scrive come critico e interprete di idee piuttosto che di persone o di emozioni è straordinario.
Copertina Penguin Crime degli anni ’60 di ‘Specialista in guai’
Lettera a Hamish Hamilton, 19 aprile 1956.
… Ho grosse difficoltà nel ricordare i miei libri. Dovresti sapere che uno scrittore deve rilleggere i suoi libri ogni sei mesi per poter evitare di scriverne uno uguale.
Copertina Penguin anni ’70 di ‘Addio, mia amata’.
Lettera a Helga Greene, 25 maggio 1957.
Non ho ancora finito il libro di Marlowe, nel senso che non è pronto per la copiatura, ma lo sarà entro due o tre settimane, forse meno. La parte centrale è un po’ confusa, come se mentre la scrivevo non fossi sicuro della linea da seguire. Inoltre ho riscritto il finale. Non è che non andasse bene, ma era un po’ troppo leggero. Ho voluto indurirlo un po’. Non volevo che Marlowe scoppiasse in lacrime perché qualcuno si è innamorato di lui. È semplicemente questione di riscrivere qualche scena, scartando un po’ di roba superflua e così via.
Copertina Penguin ‘Il grande sonno’, 2011.
Lettera a Lenore Glenn Offord, 6 dicembre 1948.
Ho scoperto che gli scrittori, come specie, sono ultrasensibili e spiritualmente denutriti. Odio quel piccolo luccichio in fondo agli occhi di chi aspetta la lode per l’ultimo libro o racconto. Alcuni dei miei amici (il che non ha molta importanza, ne ho così pochi) sono per me illeggibili. Con loro non parlo mai di loro libri. Non li leggo proprio, i loro libri sanguinosi. Non trovo ragione a questo mondo per cui abbiano dovuto scriverli. Questo fa sì che i rapporti interpersonali siano abbastanza tesi. E una cosa che mi piace di Hollywood è che lo scrittore vi si rivela nella sua definitiva corruzione. Non chiede elogi perché questi gli arrivano sotto forma di assegni. Lo scrittore medio di Hollywood non è giovane, non è onesto, non è coraggioso ed è un po’ troppo benvestito. Ma, dannazione, è di ottima compagnia, cosa che gli scrittori di libri di solito non sono. È meglio di quello che scrive, ecco. Molti scrittori di libri non lo sono.
G.S.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).