Tentare di definire la personalità poetica di Valentino Zeichen equivale alla pretesa di ridurre un vitalissimo campo di forze alla tensione strutturale del ritratto. Nato a Fiume nel ’38, quando ancora la città mancava – e ancora per un decennio ne sarebbe stata priva – di una vera e propria (si perdoni ancora il lapsus, vera o presunta) fisionomia identitaria, Zeichen esordisce in poesia nel ’74 con Area di rigore, che partecipa di quel clima sperimentale (non più avanguardistico) alimentato nella sua nuova città, Roma, soprattutto dalla presenza di Elio Pagliarani. Le date sono sempre sostanziali all’interno del discorso: se da una parte la capitale riuniva nella fucina della Cooperativa Scrittori le voci meno “romane” della poesia o, meglio, eccentriche rispetto a qualunque definizione, un’altra capitale di lì a poco, Milano, con la Società di Poesia guidata da Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi, avrebbe individuato – tra gli autori pubblicati – quei nomi che poi negli anni, e fino ai nostri giorni, a vario titolo, si sono imposti nel panorama poetico e letterario (non escludendo un antagonista di rilievo come Edoardo Cacciatore). A cosa servono questi dati? Certo non a delimitare i confini della critica, ma anzi a rinnovare l’auspicio di una certa attenzione che, nel caso di Zeichen come della coetanea Jolanda Insana, si rivela del tutto indicativo rispetto all’affermazione di uno specimen di poesia non facilmente codificabile e, per questo, forse, ancora, non del tutto comprensibile. A partire da Ricreazione (Società di Poesia 1979), suo secondo libro, comunque, il profilo di questo poeta già in qualche modo s’impone per la sua nettezza, per la sua solidità di parole, pure se retto dall’estro di una sua funzione ironico-estetizzante: Zeichen è per vocazione Orazio e Giovenale passati per il fuoco di Virgilio; è un poeta di corte di profonda vocazione indomita; uno scapigliato rondista che cerca nella forma non tanto le sue lacerazioni quanto la perfezione del taglio, la sua conclamata purezza, alla maniera delle ferite così amabilmente provocate e curate da Lucio Fontana sulla tela. Il gioco che poteva sembrare informale tra le pieghe di Area di rigore si dimostra capace di una tenace scompostezza argomentativa. Prendiamo appunto alcuni versi dal libro d’esordio: «Nel mezzogiorno biologico/ vedo la morte scomposta/ autopsia maledetta/ al corpo di mia madre» (La meraviglia). C’è da chiedersi cosa conti di più, qui, se la tragicità dell’incisione o l’epica di una tensione mentale e, insieme, sanguigna? C’è ancora da chiedersi, in fondo, cosa ricerchi lo Zeichen poeta: nell’«Oscar» aggiornato delle sue Poesie. 1963-2014, in uscita per Mondadori (2014), troviamo una prima risposta ne Il poeta:
Presumibilmente,
sembro un poeta di alta rappresentanza
sebbene la mia insufficienza cardiaca
ha per virtù medica il libro «cuore».
Abito appena sopra il livello del mare
mentre la salute, la ricchezza, la purezza
e gli sport invernali
straziano oltre i mille metri.
Perciò mi ossigeno respirando l’aria
dei paradisi alpini
così arditamente fotografati
dagli scalatori sociali
nonostante la pericolosità dei dislivelli.
Sembra di leggere un crepuscolarismo indurito e volutamente dissimulato nella distanza che le immagini creano tra loro: non il crepuscolarismo di Gozzano o Corazzini, intimamente vitalistico, semmai quello remissivo di Moretti, dove la penna prende il posto del lapis e la pioggia battente di provincia si salda ai depositi di una cultura contemplata in tutte le sue degenerazioni, sia quelle interiori e private che quelle esteriori e, per così dire, collettive. I «dislivelli» non hanno nessuna qualità morale ma riproducono mimeticamente la composizione della società e quelle contraddizioni o contrasti che si riverberano nel comportamento del singolo, malato d’afflizione e di nostalgia delle buone cose, del buonismo imparato, insieme allo stato di cose (alla coscienza di classe) sulle pagine del libro Cuore (qui minuscolo, non come l’ideale, ma come il muscolo-motore che rappresenta). Il discorso tuttavia sembra non necessitare di una marcata proposizione ideologica: è un’ideologia che si risolve dall’interno, attraverso le figure che la esplicano, che arriva all’esterno solo per via d’irriverenza o d’irrisione.
Sarebbero tuttavia numerosissimi i temi e gli argomenti da sondare, legati da una evidente unità di voce e d’azione sulla materia verbale, che Giulio Ferroni d’altra parte ha prontamente aggiornato a partire dall’«Oscar» precedente. Un «Oscar» già uscito un decennio fa e ora aggiornato fino a Casa di rieducazione (Mondadori 2011), e contenente un piccolo nucleo di inediti di poco successivi proposti da Zeichen.
Potremmo riflettere, dunque, sui nomi e cercare di valutare come si ridimensioni il senso del primo avanzatissimo «rigore», tutto inteso a colpire e a segnare il punteggio di una vittoria sulla realtà e sul potenziale della comunicazione, con l’accostamento, al termine di questa parabola quarantennale – agli effetti, attraverso mezzo secolo di poesia –, alla «rieducazione», alla presunzione dell’addomesticamento che s’invera solo in parte nell’asciuttezza dei toni e non nel modo. Toni e modi già chiari se si legge, saltando i tempi e la sintassi delle pubblicazioni, un componimento incluso in Pagine di gloria (Guanda 1983), intitolato, non a caso, La poesia:
Come un ricorrente duplicato del Big Bang
simula la nascita dell’universo
a sua differenza possibile figlia d’ignoti.
Ella ha madre sebbene svagata,
espulsa in un baleno dall’ispirata origine e
subito estranea all’istantanea matrice creativa.
La poesia: annodate interiora.
Si dipana nella prosaicità della lingua
e lascia scorrere allettanti Aleph
dall’ineffabile momentaneità:
gli accostamenti accidentali
fra le lingue ancora brulicanti
l’apparentano agli invertebrati,
i nodi vengono al pettine dello stile e
il poeta deve alla sua perizia di fisiologo
il taglio dei versi.
Senza offendere le sinapsi semantiche
riconduce a capo i misurati segmenti
comparabili agli esagrammi
delle divinazioni Ching.
Ogni volta che la mimesi creativa ricomincia
si ripropone il dilemma: il mondo
deve supporsi creato in versi
come ventilano le scritture oppure
si tratta di opere in prosa evoluzionistica?
Nel dubbio aporistico
applichiamo alla creazione
l’analisi stilistica.
La poesia ha una tempra, un temperamento propulsivo? È il motivo del tout se tient, delle scatole cinesi, a innescare i procedimenti di stesura del senso, così da saltare i vuoti che dilagano da voli non più pindarici, ma di missili e jet? È un problema di rapporto con la realtà e di evoluzione delle capacità espressive della scrittura, in una prospettiva coercitiva e antinormativa, in cui la fisiologia (o forse, la riflessologia) della parola deriva, in maniera biunivoca, da ciò che la circonda e in ciò si riproduce, si duplica nel suo senso apparente, fino a svelarsi nella sua possibile insensatezza (ma mani nel nonsense). Bisogna attendere una ventina d’anni o poco più perché il discorso prosegua con evidenza, fino a dimostrare il suo effettivo livello di abbassamento, di riduzione, di effettualità, di rapporto concreto col corpo della poesia. All’interno di Neomarziale, raccolta edita nella collana de «Lo Specchio» nel 2006, oltre a mettere in fila tutti i motivi più o meno espliciti del suo fare poesia, assieme al carattere d’occasione veracemente latino della sua ispirazione o ispirazione, Zeichen produce una serie di non-metafore tradotte in motivi vicini ancora a certo crepuscolarismo, ma eversivi, ex-lege, pieni di una provocazione salace e saporita. La poesia eponima della sezione Poetica dice, infatti:
Nel tagliarmi le unghie dei piedi
il pensiero corre per analogia
alla forma della poesia;
questa pratica mi evoca
la fine perizia tecnica
di scorciare i versi cadenti;
limare le punte acuminate,
arrotondare gli angoli sonori
agli aggettivi stridenti.
È bene tenere le unghie corte
lo stesso vale anche per i versi;
la poesia ne guadagna in igiene
e il poeta trova una nuova Calliope
a cui ispirarsi: la musa podologa.
Mentre poco più avanti troviamo un piccolo ritratto (Poeta diviso) che mette a fuoco ulteriormente quella dramatis persona poetica introdotta all’inizio:
Alle sublimi altitudini
orbitano le belle monadi,
svettano i titoli di Borsa.
Lassù agognavo di ascendere
purificando l’io spiritoso
per farne rarefatto spirito.
Ma una forza contrapposta
mi ha sempre risospinto
verso l’abisso, fra immonde
catastrofi scatologiche.
Fra duplici tendenze
vengo spartito equamente
in due mezzi poeti
in attesa di riunione.
Oscillo fra Petrarca e Rabelais,
tra l’angelo e Pantagruele.
Avanguardia e tradizione: la congiunzione ha un valore inclusivo. In fondo esiste ormai una certa tradizione ormai codificata anche per quello che riguarda l’avanguardia che non si riduce solo a una tassonomia di esperienze o di date o movimenti, ma che mette in comunicazione la portata del senso e delle interazioni che si esplicano a livello diacronico e sincronico, per riallacciarsi a tutti quei fenomeni solitamente tenuti al di fuori del canone: «Petrarca e Rabelais», l’ordine e il rovesciamento, la strada e la parodia, appunto. Un movimento partecipe e biunivoco che, guardando alla concomitanza degli eventi poetici, agisce sinteticamente all’interno della sintassi, riunendo la dimensione scientifica a quella più esornativa nell’organismo vivo e vegeto della poesia, dotato di una vivida capacità di pensiero.
*
Abbandonando infine il bozzetto, per entrare ora nel vivo della poesia, si propone di seguito una piccola scelta di testi, diacronicamente disposta, che ancora possa suffragare le ipotesi brevemente ricostruite. Una poesia per ogni libro, e per questi quarant’anni di Zeichen.
ARALDICA E MACELLERIA
Le allegorie figurano esenti da putrefazione
immunizzate dal vaccino simbolo
non sfuggono al ribrezzo popolare.
I titolari le infarcirono di animali,
portando carne insaccata negli stemmi
ai tornei, come tagli scelti di virtù.
La discendenza non li delude;
la scatola è l’ermetica allegoria corazzata
dell’invertebrata sentimmenthal.
L’etichetta, allegoria naturalistica,
avvolge la metallica astratto-geometrica,
cifrata in chiave che scoperchia l’astratto informale
e completa i grandi movimenti dell’arte moderna.
da Area di rigore (1974)
A DOMANDE MAL POSTE UGUALI RISPOSTE
Pur vantando verosimile
ed onorevole servizio
la verità non sopporta che per troppe volte
le si rivolgano le stesse domande.
E replica da guanto che sfilandosi
lascia che il suo rovescio
venga scambiato per il dritto.
Dovento soddisfare
in maniera diversificata
gli interrogativi di molte generazioni.
da Ricreazione (1979)
GENERARE
In questa estesa tipografia della natura che è il mondo
si ristampano tutte le memorie genetiche; siamo ancora
i successori di coloro che sono appena nati, che già
di noi lo saranno quelli intanto sopraggiunti.
L’amore per la stampa accomuna i corpi
che compongono con caratteri ereditari,
stampiamo biglietti da visita,
per l’occasione la fedeltà anastatica ci tradisce,
quale variante si legge il nome dei figli.
Noi vorremmo eternarci nella copia
ma la natura più inventiva di noi
varia la monotonia dell’amor proprio
facendoci riprodurre il nostro dissimile
così cadiamo nell’errore ortografico.
da Pagine di gloria (1983)
LITTLE NEMO
Tu sarai anche una stella,
ma nella vanità del mondo
non sono da meno d’uno specchio;
se valida quella teoria che vuole
l’universo in espansione
ci allontaniamo l’uno dall’altra
come galassia, lasciando tracce
di sangue sullo spettrografo.
In un’ipotesi contrapposta
l’infinito sarebbe stazionario
e manterremo le oscure distanze,
a mio malincuore.
Per avvicinarci dovrebbe prevalere
la teoria dell’universo che si contrae,
ma equivarrebbe al finimondo
perciò, addio, stellina bionda.
da Museo interiore (1987)
ANALOGIE MUSICALI
L’infusione musicale nazista
scavò dentro ogni tedesco
un piccolo auditorium
e ne ingrandì l’anima
affinché i suoni si armonizzassero
con la musica interiore
sincronizzata con le
marce dei panzer, poi,
trionfò Lilì Marleen.
da Gibilterra (1991)
SEMIOTICA
Come la spia rossa che
si accende sul cruscotto
e segnala al conducente,
che la benzina è alla fine,
così, anche il sentimento
che nutrivo per te
è ormai in riserva.
da Metafisica tascabile (1997)
SCAVARE O NON SCAVARE
Qualsiasi aria ossida
il vanto delle scoperte.
Straniero, quando vedi
degli scavi in corso
distogli lo sguardo
e volgi altrove.
La vista di nuovi ruderi
ti falsa la mappa turistica
e non alza d’un piolo
l’inarrivabile scala
delle vestigia rinvenute.
In nostra assenza
affideremo il sottosuolo
alle poste cosmiche
affinché lo destinino
ai posteri ignoti,
a futura memoria di noi,
secondo il Canone Occidentale.
da Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio (1997)
L’ARTE DELLE CONSERVE
Declina l’estate matura
di frutti newtoniani
che la fata delle confetture
conserva in vasi sterili,
dalle confezioni durevoli.
Mentre il cuoco si duole
per la deperibilità dei cibi
e la volatilità degli odori.
Cosa ti sovviene dell’infanzia?
marmellate, mai pietanze.
da Neomarziale (2006)
POESIA
Si dice che la poesia
manchi di vero slancio,
che non sappia più volare
poiché non più sorretta
dai grandi angeli alati.
Che farci? È un mondo
di poeti atei che volano
preferibilmente in aereo.
da Casa di rieducazione (2011)
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).