Dalla settima pagina di Proust. I colori del tempo (Electa, 22 euro), Alessandro Piperno ci accompagna e Eleonora Marangoni ci porta a scoprire i colori dell’opera di uno scrittore che da adolescente aveva come passatempo preferito quello di “entusiasmarsi”, come fissa quella dei nomi propri, e voglia di piangere quando si accorgeva quanto le rose fossero rosa. Qui scopriamo che per Marcel Proust il pittore è meno importante dei colori, che un romanzo sul tempo che passa è un romanzo sui colori che sfumano, che il passato e il futuro colori non ne hanno, che il presente ne è pieno. Nove in tutto, uno per ogni capitolo: si inizia col giallo, il biondo dei capelli delle donne che il Narratore pensa siano la Bellezza, l’Amore e delle quali poi non s’innamora mai. Il blu, prima chiaro, quello dei pomeriggi immerso nelle letture a Combray: “azzurri come la superficie del silenzio”, poi pieno, quello delle tende del treno che svolazzano nella carrozza che lo allontana dalla mamma per la prima volta, il blu Oltremare della volta della Cappella degli Scrovegni che lui stesso visitò a Padova, nel 1900; un blu che percorre il filo sottile che lo porta dall’infanzia alla vecchiaia, quando, blu di Prussia, ricopre in chiazze il viso di Swann. E poi il rosa, il rosa Tiepolo che accomuna in piccolezze le tre donne della Recherche, Oriane, Odette e Albertine che “nella vita reale non si siederebbero certo allo stesso tavolo”, ma con una carnagione, un abito, delle guance di quel colore “scontato” che lo fa innamorare, e che è lo stesso rosa del biancospino nascosto nella siepe, che gli indicò il nonno, bambino, a Combray. Ma nelle 128 pagine del saggio che apre la collana “Pesci rossi” di Electa ci sono pure il verde e il viola, il rosso, il bianco e il nero, e il non-colore: quando Albertine ha la febbre, il colorito delle sue guance, prima di un rosa “quasi commestibile”, diventa “porpora cupo di certe rose il cui rosso è quasi un nero”. Proust. I colori del Tempo è una piccola enciclopedia sui colori, un domino, una lista e un diario, dove i New Order sono citati prima dei fratelli Lumière e dove non ci stupiremmo se a un certo punto arrivasse Godard a chiederci se gli occhi di Véronica Dreyer siano grigio Velázquez o grigio Renoir. Eleonora Marangoni ha trent’anni e ci dice: queste sono tutte le cose che mi piacciono, tutte le ossessioni che mi appassionano, e con lei troviamo le nostre fisse (perché in quel racconto lo stesso costume per lei è giallo, per lui è blu?) e ci avviciniamo ad altre, Recherche compresa, partendo dall’opera di uno scrittore che di pittori ne aveva più di 100 e nella sua camera solo uno, Whistler, col suo, essenziale, semplicissimo Thomas Carlyle.
Natalia La Terza è nata a Orbetello nel 1990 e vive a Roma. Scrive su Harper's Bazaar Italia, Esquire, Rolling Stone e minima&moralia.