That concludes tonight broadcast featuring Giorgio Bassani…
Nel 1966 Giorgio Bassani ha cinquant’anni esatti, si trova all’Istituto di Cultura di New York e registra un’intervista radiofonica conservata in una cassetta, 45 minuti lato A, 30 minuti lato B. Grazie alla trascrizione di Renata Sperandio oggi possiamo leggerla, e leggere cosa Bassani pensava dei personaggi dei romanzi contemporanei, suoi e non suoi.
“Insomma, sono tanti i romanzi contemporanei, magari anche ben scritti, di cui però non resta memoria, appunto perché nessuno pensa che siano storie vere, perché c’è in loro qualcosa che non persuade. Tutto funziona, in questi romanzi, eccettuata l’unica cosa che si desidererebbe funzionasse: la buona fede. Moltissima arte e, nella fattispecie la narrativa, è disposta a perpetrare nei confronti dei propri personaggi delle operazioni di violenza inaudite, incredibili. Quasi nessuno scrittore ha rispetto per i propri personaggi, li considera come delle persone realmente vissute o realmente viventi, quasi nessuno scrittore pretende di mettersi in una posizione morale nei confronti della propria opera. Ho fatto quindi questa opera di mistificazione non per ingannare ma per spiegare, per introdurre in un certo senso il lettore in una dimensione letteraria, in una moralità letteraria diversa da quella corrente. Questo è il punto fondamentale. Introdurre il lettore in una dimensione letteraria, in un rapporto letterario di carattere morale e religioso.
[…]
Cosa c’è di vero? Questi personaggi sono effettivamente esistiti? Non c’è, ripeto, soltanto il desiderio che questi personaggi siano considerati delle persone vive, delle persone vissute, di cui si possa dire che abitavano in quella casa lì, sono morti e sono sepolti in quel cimitero là. Era questa la mia preoccupazione in un mondo che tende sempre più a non credere, che non crede più neppure ai testimoni pronti a farsi sgozzare. Però, circa il rapporto tra me e i miei personaggi, devo dire che essi sono veri, cioè assomigliano in qualche modo a delle persone realmente vissute. Potrei trattenermi qui fino a domani mattina a dire che gli shorts di Micòl appartengono a quella tale signorina che io ho visto un giorno e mi ha colpito quando ero ragazzo, oppure che la faccia sudata di Malnate appartiene veramente ad un mio amico che non si chiama Malnate, ma che si chiama, per esempio, Vincenzo Cicognani, il quale sta a Lugo, ha la faccia sudata quando discute ed è anche molto alto. Mentre Malnate si chiama, sì, come Franco Malnate, il quale però non ha niente a che fare con Giampiero Malnate, perché è ben vivo e sta a Novara ed è tutto contento che io abbia prestato il suo cognome al mio personaggio. C’è poi un altro Malnate di Novara che studiava a Ferrara intorno al ‘38 ed era innamoratissimo di una ragazza che non ha niente a che fare con Micòl, e che mi faceva un po’ ridere perché piangeva sulla spalla degli amici… Quindi da un lato, ognuno di questi personaggi ha un rapporto col vero oggettivo — e molti si sono offesi per questo — però da un altro lato, sono tutte forme del sentimento di chi ha scritto questo romanzo, cioè effettivamente Micòl c’est moi, il professor Ermanno c’est moi, il ciabattino Rovigatti c’est moi, mio padre sono io. Anzi vi dirò di più: quando il professor Ermanno invita il narratore ad andare a Venezia al cimitero israelitico — quello antico, non quello moderno —, gli raccomanda di farsi dare l’apposita chiave per entrare, eccetera, e gli spiega che se lui ha un tale dolcissimo ricordo di quel posto è perché ci andava da giovane con la fidanzata, ebbene, queste sono tutte cose che ho vissuto io e non lui. Nel mio romanzo, insomma, ogni personaggio degno di questo nome è una forma del mio sentimento.”
(Natalia La Terza)
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).