Doris Lessing è stata scrittrice di romanzi, poesie, racconti e teatro. È nata nel 1922 in Iran quando l’Iran era ancora Persia da genitori inglesi; la famiglia si è poi trasferita quando lei aveva cinque anni in Zimbabwe, quando lo Zimbabwe era ancora Rhodesia del Sud e quindi colonia inglese.
Nel 1950, trasferitasi a Londra, pubblica il primo romanzo, “L’erba canta”. È del 1962 il suo libro più famoso, “Il taccuino d’oro”, che le vale una prima candidatura al Nobel.
Lessing riceverà poi il Nobel nle 2007, all’età di ottantotto anni, venendo definita a Stoccolma “Una cantrice delle esperienze femminili, che con scetticismo, fuoco e potere visionario ha osservato una civiltà divisa”.
Proponiamo degli estratti da “Il diario di Jane Somers”, uscito nel 1984 per raccogliere i precedenti “The Diary of a Good Neighbour “ e “If the Old Could”, precedentemente pubblicati sotto pseudonimo con lo scopo di dimostrare le difficoltà che gli esordienti incontravano nel farsi pubblicare e infatti rifiutati dall’editore di Lessing.
Jane, voce narrante e autrice del diario, è caporedattrice di un’importante rivista di moda. Conosce Maudie, signora anziana e povera, sempre meno autosufficiente, Annie, e altre signore ancora, tutte con case sporche piene di oggetti accumulati. Il libro parla di questi incontri, dei mondi in cui si muove Jane e di come la gente si veste in quei mondi.
Lo stile delle redattrici di una rivista di moda: “L’ho guardata, e ho fissato subito un appuntamento con il parrucchiere.”
Quando è venuta a lavorare qui, Joyce ci ha fatto subito capire che ci considerava delle straccione! A metà degli anni sessanta – eravamo tutte straccione! Eppure nemmeno il suo era uno stile nitido, ordinato, piuttosto, sono parole sue, da zingara di lusso. Joyce è alta, sottile, con una massa di riccioli neri, volutamente arruffati, e un viso pallido e sottile. Almeno, è così che sembra, incorniciato da tutti quei capelli. Occhi neri che sono in realtà un po’ piccoli, ma ingranditi, drammatizzati dal trucco. I suoi vestiti costano un patrimonio. Oggi indossava una gonna a righe nere e ruggine, un gilet, una maglia di seta nera e la sua grossa catena d’argento con pezzi d’ambra. I suoi gioielli sono molto belli, niente paccottiglia orientale del tipo che io posso permettermi di portare, per via del mio stile. Joyce è bella: ma si veste come una ragazza. Presto dovrà cambiare stile, perché non sarà più giovane.
Quando Joyce ha preso in mano la situazione, io portavo ancora minigonne, collanine, fronzoli vistosi e volgari. Da allora il mio stile è diventato classico-costoso. Porto gonne di seta e calze di seta, non di nylon, e vestiti che a una prima occhiata sembrano da niente. Ho trovato una vera sarta, che lavora a mano, punto dopo punto, e cerco bottoni speciali al mercato, pizzi fatti a mano, golfini e maglie li faccio fare, su misura. Il mio stile è di quelli che la gente non nota a prima vista, poi i loro occhi tornano indietro, si soffermano sui particolari, l’impuntura di un colletto, una fila di bottoni di perle.
Non potremmo essere più diverse, io e Joyce: l’unica cosa che abbiamo in comune è l’attenzione, la cura che mettiamo nel vestire. Ma Joyce è più sbrigativa per via della famiglia.
Phyllis è una ragazza snella, forte, attraente. Biondiccia. Veste sempre all’ultima moda, quindi non c’è nulla di particolare da osservare, nel suo abbigliamento. L’ho vista guardare Joyce e decidere, giustamente, che il suo stile non sarebbe andato bene per lei. L’ho vista osservare anche me: qual è il trucco?
Il giorno dopo Joyce è venuta in ufficio, si è seduta alla sua scrivania, e ha fatto i soliti gesti, come se stesse lavorando, e in effetti ha lavorato, ma senza esserci. Non è lì con noi, semplicemente. Aveva un aspetto orribile, malvestita, polverosa, perfino, i capelli grigi alla radice, e un golfino nero un po’ stinto.
L’ho guardata, e ho fissato subito un appuntamento con il parrucchiere. Ho anche deciso di dedicare un’intera serata alla cura della mia persona. […]
Quello che da tanti anni fa di me una persona perfettamente curata, che la gente guarda pensando, ma come fa? è proprio questo rito della domenica sera. […] La domenica sera, dopo cena, per anni e anni, ho scelto i vestiti da indossare ciascun giorno della settimana, mi sono assicurata che non fossero spiegazzati o sciupati, ho controllato orli e bottoni, ho pulito le scarpe, ho svuotato e lucidato le borsette, spazzolato i capelli, e messo da parte tutte le cose anche solo poco fresche per portarle in lavanderia e in tintoria. […] Cura estrema. Be’, non riesco a continuare, il mio stile finirà nel cestino della carta straccia, proprio come quello di Joyce in questo momento. Una zingara di lusso trasformata in sciattona, è bizzarro: se comincio a trascurare il mio stile, finirò come lei.
Ora costringerò me stessa a lavorare: bottoni, scarpe, colletti, stirare, stirare, stirare, non dovrà restare nemmeno un pizzo scucito su una sottoveste.
I cassetti di Maudie
Non buttava via niente da anni, da decenni, credo. Nei cassetti, disordine, ed erano pieni di- ma ci vorrebbero pagine e pagine, per descriverne il contenuto. Avrei voluto avere con me un fotografo- riflesso condizionato! Sottovesti, camicie, mutande, corsetti, maglie, vecchi vestiti, o pezzi di vecchi vestiti, camicette… e niente che avesse meno di vent’anni, c’era anche roba della prima guerra mondiale. La differenza tra i vestiti di adesso e quelli di allora: erano tutti di fibre “vere”, cotone, seta, lana. Non c’era niente di artificiale.
Maudie da giovane
Mi raccontò dei vestiti che indossava da giovane.
Ce n’era uno, il suo preferito, di popeline grigia a fiori rosa. Lo indossava per andare a trovare la zia. Era stato il vestito dell’amante di suo padre, ed era troppo grande per lei, ma se lo metteva lo stesso.
“Prima che mia madre morisse, avevo tutto quello che volevo. Ma dopo, solo gli scarti. Quel vestito però era delizioso, così bello, e mi stava benissimo.”
Parlammo dei vestiti, dei mutandoni, delle sottovesti, delle camicie, delle scarpette, dei boa e dei corsetti di cinquanta, sessanta, settanta anni prima. Mrs. Fowler ha più di novant’anni.
“Lei era sempre accanto al camino, con una vestaglia rossa con le piume, e mio padre sedeva dall’altra parte, con la giacca di seta. Lei mi diceva, Maudie, ti senti forte stasera? E si toglieva quell’affare pieno di piume, restava in camicia. Non ne fanno più di camicie come quelle. Lei era una bella donna, grande e grossa […] Io dovevo allentare i lacci del corsetto. Che lavoro! Ma sempre meglio che allacciarlo, quel corsetto, quando lei usciva, tutto quel tirare, quello stringere.”
La confidenza con Maudie
“Hai visto i miei stivali nuovi?” le chiesi, mostrandoglieli. Lei si chinò a guardarli, la bocca che tremava di riso, di malizia.
“Oh,” sussurrò, “mi piacciono le cose che indossa, sono sempre bellissime”.
E così passammo la serata insieme, e le mostrai ogni punto dei vestiti che indossavo. Mi tolsi il golf e restai immobile mentre lei mi girava intorno ridendo. Portavo una sottoveste nuova, crêpe de chine. Tirai su la gonna per farle vedere il pizzo. Mi tolsi gli stivali per farglieli toccare.
Lei rideva e si divertiva.
Le ho detto che sarei andata a trovare mia sorella Georgie. Lei si è messa a ridere per quel nome. […] “Janna e Georgie,” ha detto lei. “Io e mia sorella eravamo Maudie e Polly, e quando uscivamo tutte messe su con la giacca bianca e il cappellino, eravamo davvero carine.” Io ho detto, “Anch’io e Georgie dovevamo essere carine. Ricordo dei vestitini e dei berretti rosa.”
Annie da giovane
E poi, i vestiti. Annie, lo dice lei stessa, era una ragazza allegra, le piaceva divertirsi, non si era sposata che dopo i trant’anni. Tutti i suoi denari andavano in vestiti. Era snella, si faceva arricciare i capelli tutte le settimane per mezza corona, e comperava i vestiti a rate nei negozi di Soho. Aveva un vestitino blu scuro profilato di bianco che le stava come un guanto. Portava dei minuscoli cappellini con la veletta perché piacevano ai ragazzi. Una gonna marrone, allacciata su un fianco da bottoni grandi come cucchiai. Una redingote di velluto blu coi rivers. Ogni volta che rievoca il fantasma di un ennesimo indumento di sessanta, cinquanta, quaranta anni fa, dice, Non li fanno più, vestiti come quelli, ora, proprio come, parlando della carne di manzo venata di grasso giallo, dice, Non ce n’è più, di roba come quella, al giorno d’oggi, e ha ragione.
I cassetti di Annie
Uno dei cassetti di Annie Reeves conteneva – ho fatto questa lista per non dimenticarmene; la metà di una vecchia tenda di rasatello verde, pieno di bruciature di sigaretta; due anelli da tenda, di ottone, rotti; una sottana, macchiata, strappata sul davanti, di cotone bianco; due paia di calzini da uomo, pieni di buchi; un reggiseno, taglia 44, un modello del 1937, a mio avviso, di cotone rosa; una confezione ancora intatta di pannolini – non assorbenti, pannolini di stoffa: non avendone mai visto uno prima, li ho guardati affascinata, naturalmente; tre fazzoletti di cotone bianco macchiati di sangue, ricordo di un’emorragia dal naso di almeno dieci anni prima; due paia di mutande di seta artificiale rosa, non lavate, taglia media; tre cubetti di Oxo; un calzascarpe di tartaruga; una scatola di lucido bianco per scarpe estive da signora, indurito e crepato; tre fazzoletti di chiffon, uno rosa, uno azzurro e uno verde; […] alcune collane di perline, tutte rotte; una sottoveste di satin azzurro scucita di lato, da ambe le parti, per adattarla a fianchi più larghi; alzuni mozziconi di sigaretta.
Altri ritratti: “quando smetterò di pensare alla gente in termini di quello che indossa?”
Una massa di capelli morbidi e dorati, tutti onde e riccioli. Lo so quanto costa quel disordine ordinato. La faccia rosea e morbida, con i grandi occhi azzurri, adorni di ombretti grigi e azzurri. Il golfino bianco morbidissimo, i pantaloni di pelle scamosciata grigia, gli stivali di pelle scamosciati blu […] stavo pensando, o la Pubblica Assistenza paga molto meglio di quanto credessi, oppure questa donna ha una rendita personale.
Vera Rodgers. .. È una ragazza piccola e sottile. Stavo quasi per scrivere: una taglia trentotto. Quando smetterò di pensare alla gente in termini di quello che indossa? Di recente Phyllis mi ha chiesto com’è mia sorella, e io ho detto, Tipo cashemere, scarpe fatte a mano e tailleur di jersey. […]
Vera è rimasta in piedi davanti a me […] Occhi scuri e gentili. Smalto rosa sulle unghie, ma vecchio. Sì, questo naturalmente dice qualcosa di lei: che lavora troppo. Vestiti graziosi, niente di eccitante, però.
Lo stile degli americani, “gli esseri più conformisti della terra”
Le chiedo come si veste, per avere un’idea di com’è adesso, e lei dice, Esattamente come tutte le altre.
Perché secondo lei gli americani sono gli esseri più conformisti della terra, e anche quando si ribellano lo fanno in massa, si mettono addosso le stesse cose degli altri anticonformisti. Si è accorta, ripetutamente, che il suo stile non piaceva. Ha pensato che fosse perché la consideravano troppo vecchia, per quel genere di cose, e invece no, qualcuno le ha chiesto, seriamente, perché le inglesi “si vestono sempre da zingare”. È la nostra natura selvaggia e romantica, ha risposto lei, ma ha cambiato stile, si è tagliata i capelli, e adesso ha un armadio pieno di pantaloni e camicette di buon taglio, golfini, e innumerevoli varianti del solito “vestitino”. Quando entri in una stanza, dice, tutti ti squadrano da capo a piedi per assicurarsi che tu sia dentro i limiti prestabiliti.
Le guerre mondiali e la moda: “la nazione guida indossava pantaloni attillati e sessualmente provocanti”
Le ho detto di scrivere un articolo sull’influenza delle guerre mondiali sulla moda. […] Avevo detto che durante la prima guerra mondiale tutti si erano abituati alle immagini di masse di persone in uniforme. Per la prima volta su scala così grande. Condizionati dall’idea dell’uniforme, si è più disponibili a seguire i dettami della moda; se si seguono i dettami della moda, si è più disponibili a mettersi in uniforme. La nazione guida indossava pantaloni attillati e sessualmente provocanti, che enfatizzavano i glutei. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, tutti al mondo indossano uniformi attillate e sessualmente provocanti.
(Costanza Galanti)
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).