Scrivere di soldi

da | Nov 15, 2013 | Senza categoria

Cominciamo con questo pezzo di Costanza Galanti una piccola rubrica all’interno di 2NA, il nostro laboratorio di scrittura. Qui racconteremo libri che non parlano di scrittura ma che insegnano a scrivere. Libri che parlano di cose di cui gli scrittori scrivono sempre. Libri che possono allargare la nostra immaginazione quando ci mettiamo a scrivere. Visto che l’ultimo numero di NA, The Spending Review, parla di soldi, cominceremo parlando di soldi.

 

Se potessi avere, Memorie degli italiani ai tempi della lira. A cura di Diego Pastorino.

I soldi, quando entrano nelle nostre vite, hanno nomi precisi.  In Se potessi avere, memorie degli Italiani ai tempi della lira si raccolgono quarantatré fra diari, lettere, autobiografie e memorie datati dal 1788 al 2003 e i nomi sono questi: “Baratto, fondi di investimento, mercato nero, libretto di risparmio, tessera annonaria, azioni, assegni emessi dai commercianti, centesimi, scudi, lire, soldi, cedole, dollari, franchi, sterline, colonnati, cheques detti cecche (la cecca), aquilotto (5 lire del fascio), denaro detto svanzi, .. propine, marenghi” (qui come messi in fila con gusto nell’introduzione di Clemente).

 

In queste storie non c’è personaggio che potrebbe estrarre una banconota dal portafoglio con lo stesso gesto di un altro, come non c’è moneta che esca dalla tasca senza aver tintinnato per tutta la strada: i soldi entrano in scena carichi di storie quanto le persone stesse, e non vanno ignorati.

 

La prima delle sei sezioni, “Denaro d’altri tempi”, con documenti che percorrono memorie dalla fine del Settecento alla Prima Guerra Mondiale, ha una vera galleria di personaggi e di denaro.

C’è il ragazzo che nel 1868 alla festa di San Matteo di Lampedusa raccoglie i noccioli delle pesche gettati dalla gente sui pavimenti della piazza e delle osterie, fino a riempirsene la tasca alla cacciatora nella giacchetta di fustagno. Ne arrivava a fare anche due chili, li schiacciava per estrarne le mandorle, e ci ricavava dalle 1,30 alle 1,60 lire vendendoli ai fabbricanti di torrone.

 

C’è un toscano, emigrato bracciante a quindici anni, che si trova in Francia. Nel dialogo riportato preso da una autobiografia a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, stupisce la reticenza a parlare della propria miseria, anche nella disperazione:

“..v’indirizzo da mio fratello calzolaio.. volete andarci?”.

“Sì, risposi ringraziandola, agiungendo… ma…”

“Che cosa volete dire?”

“Il… Vi è lontano di qua a Brignoli”.

“Nò, rispose, vi è solo due lire di treno, perché non li havete?”

“Un pò imabarazzato risposi (no)”.

 

C’è l’operaio, nella categoria dei cesellatori e orefici, che sciopera nel 1908 per ottenere il “sabato inglese” e un aumento della busta paga. Poiché la Camera della categoria era molto ricca, gli operai venivano assistiti da questa con una lira al giorno, cioè con un quarto dello stipendio di allora. Ma ci viene raccontato: “siccome la mia iscrizione alla Camera del lavoro era fatta a insaputa di mia mamma, che non voleva perché ciò era molto sovversivo, quella indennità la sciupavo di nascosto. Così per circa tré settimane è stata una cuccagna”.

 

Ci sono ovviamente i due giovani che si vogliono sposare, lei che cerca di risparmiare e raccomanda al fidanzato al fronte di usare la cartolina di franchigia, e di scriverle di meno. E c’è ovviamente la mamma di lui scettica, che quando sente parlare di nozze fa l’atto di appendere al muro un cappello senza chiodo per poi commentare: “Si tiene? Così si tiene il vostro matrimonio”.

 

Ma per la stessa guerra, abbiamo anche gli interni di una famiglia borghese romana, ritratti in un giornalino diffuso fra i parenti e amici da un ragazzo sedicenne. Gino è solito redigere una classifica dei migliori posti per gelati e granite della capitale, ma nel 1918 si trova lontano da Roma. Nota  altresì aumenti anche più del 300%: “non abbiamo però intenzione di lagnarci di questo stato di cose, poiché la qualità dei gelati e delle granite, in massima, è rimasta identica”.

 

Nella manciata di testimonianze degli anni Venti e Trenta, abbiamo anche una testimonianza illustre, un memoriale-diario di Bruno Palamenghi, nipote di Francesco Crispi. Bruno ci riporta in dettaglio la situazione finanziaria del Comune di San Cipirrello di cui viene nominato commissario nel 1926, a partire dalle irregolarità del bilancio. Scandalizzato, descrive anche una serie di personaggi di cui la mafia ha popolato le istituzioni: l’appaltatore dell’illuminazione, quello dell’acqua e della riparazione delle strade a cui Bruno minaccia di controllare personalmente anche la larghezza a la profondità prevista per i fossati e il diametro e lo spessore dei tubi, poi il vecchio ottuagenario applicato, in aspettativa con l’intero stipendio, e il messo comunale “ubbriaco tutto il giorno”.

 

Chi legge le fonti private sa che con le memorie ci si trova spesso davanti a visioni inedite della storia, persino della guerra: può capitare che i bambini piccolissimi ricordino un periodo di pace e comunità nei palazzi abitati solo dalle mamme e dalle amiche delle mamme, come succede nel memoir dell’italoamericana Louise DeSalvo. Anche qui, per la sezione de “L’Italia in guerra”, ci si potrebbe trovare spiazzati leggendo la memoria di Concetta: “Quando scoppiò, quel fatidico 10 giugno 1940, la mia guerra somigliò ad una festa”. Quel giorno, si ricorda: “indossavo un delizioso vestitino a fiori, calzavo sandalini bianchi, avevo cinque lire nel borsellino ed era una splendida giornata di giugno”.

 

C’è sicuramente uno sguardo allucinato dalla fame, oppure una messa a fuoco fortissima, che della guerra non ricorda le giornate di sole, ma solo le persone intorno, tutte trasformate nelle misure del loro fabbisogno. Un minatore toscano, nelle sue memorie, scrive ad esempio: “nel 1941 mia madre ebbe un infarto cardiaco. Aveva soprattutto bisogno di riso e dello zucchero”, e poi continua annotando i grammi di pane distribuiti al giorno per ogni categoria. Ve li riporto, per quando avrete in mente di far muovere uno dei vostri personaggi in quegli anni di luce e di fame: minatori 500, scaricatori di porto 400, operai 300, tutti gli altri, le donne e i ragazzi 200. 100 in più al giorno per le gestanti, 50 ai ragazzi a scuola. A partire dal marzo del 42, sottraete 50 grammi ad ogni categoria.

 

Se tutto è intrecciato ai soldi e al cibo, non farà ovviamente eccezione il corteggiamento. Un’impiegata alla Fiat ci parla di “un nuovo tipo di fascino” che avevano i proprietari terrieri: si presentavano infatti agli appuntamenti con un cartoccio di farina bianca, con sei uova fresche, oppure con un panetto di burro; regali che facevano sembrare ben misera la tazzina di caffè surrogato che potevano offrirti gli altri. Si trattava solo di coltivare per un po’ di tempo tali occasioni,  salvo poi ritrarsi “al momento opportuno”.

Negli stessi anni, Giuliano Ugolini, e i suoi amici andavano a ballare terrorizzati dalla quadriglia. Al termine delle quadriglie, infatti, si doveva offrire da bere e da mangiare qualcosa alla ragazza: una pasta di granoturco autarchico e bere un bicchiere di vermut di vinsanto sono in tutto mezza lira. E capita che, proprio quella volta che Giuliano sta sicuro con una lira in tasca, la signorina invitata al bancone si serva ripetutamente di paste, per poi lasciarlo sconcertato davanti alle briciole. “Io ancora imbambolato esclamai: ‘Porca miseria che sfacciata!’. “No, caro ragazzo, quella non è sfacciataggine, è fame, oggi tutti ci arrangiamo in qualche maniera. Il resto me lo porterai domenica”.

(Costanza Galanti)

 

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).