[Intervista ad Alberto Pellegatta, a cura di Tommaso Di Dio]
Chiunque abbia amore e interesse per la poesia italiana contemporanea, difficilmente non si è imbattuto e di necessità confrontato con ciò che ha scritto in questi anni Alberto Pellegatta. La sua poesia, dal giovane esordio Mattinata Larga (Lietocolle, 2004) all’ultima sua raccolta L’ombra della salute (Mondadori, 2011), è stata fin da subito riconoscibile per eleganza di tratto e plasticità linguistica. Leggendo i suoi versi, si è come all’interno di una camera iperbarica: dentro una struttura del verso fra le più compatte, il lettore può fare un’esperienza straniante. La realtà, avvolta da una spazio immaginativo sempre riconoscibile e sempre aderente alle vicende comuni della vita, è sottoposta ad un aumento artificiale di pressione, un sovradosaggio di ossigeno, una decompressione che lascia il lettore disposto alle più svariate e poliedriche percezioni. Si è vinti e come liberati dalla poesia di Pellegatta. La sua poesia delinea verticali strutture geometriche di fuga, oppure pozze orizzontali di chiaroscuri, densissimi amalgami o filamenti longilinei che ognuno di noi può percorrere per milioni di chilometri, soltanto per vedersi più da vicino e scoprirsi nei luoghi più profondi di se stessi.
Ma non sto scrivendo queste righe per parlare della poesia di Alberto Pellegatta. Forse lo farò un’altra volta (e lo dico quasi come una promessa). Ho deciso di intervistarlo perché – da ormai più di un anno – Alberto ha deciso di aggiungere un mestiere in più a quello di scrittore e critico d’arte: il lavoro di editore. La cosa mi ha stupito: lo sapevo uomo di riservata concentrazione; e non riuscivo a comprendere cosa lo avesse spinto ad affacciarsi al mondano ambiente della promozione e della diffusione di quella ben poco remunerativa bestia che chiamasi poesia italiana contemporanea. Eppure libro dopo libro, mese dopo mese, silenziosamente e senza alcuna pretesa eroica, il lavoro che sta conducendo presso EDB mi è parso in Italia fra i più brillanti e interessanti esempi di editoria; un’editoria che sappia coniugare serietà intellettuale e sobrietà, nazionalità e internazionalità, ricerca delle nuove voci e conferma di alcune fra le più conosciute. Sebbene sia un giovanissimo progetto, sembra esserci un gran lavoro dietro, una serie di meditatissime riflessioni, ancora forse nascoste a molti che leggono e amano la poesia italiana. Forse la causa è la proverbiale sprezzatura meneghina, quella levità ironica che non è mai distrazione o mancanza di cura, ma proprio il segno di chi pratica e vive ogni giorno un lavoro che ama, sia esso intellettuale o meno. Ma iniziamo con le domande.
Alberto, mi vuoi risolvere l’arcano? Mi dici cosa ti ha mosso, quali sono le ragioni per cui hai deciso di intraprendere questa attività con EDB?
Ho “ereditato” questa collana dal suo fondatore, Pierluciano Guardigli, che, mancato qualche anno fa, è stato l’ideatore del sindacato scrittori e per anni redattore di Garzanti. Tutto nasce dalla constatazione che, nonostante il numero considerevole di libri e collane esistenti, validi autori rimangono esclusi dalla pubblicazione. Franato ogni architrave sociale e culturale è importante creare poli di qualità. Ho accettato la proposta di EDB, un “storico” editore milanese, certamente coraggioso, per dimostrare che con pochi mezzi si può fare un catalogo di ricerca. È un’operazione culturale, non editoriale. L’esiguo pubblico della poesia, che è infondo un’elite, segue con attenzione le nuove proposte. Il nostro lavoro rispetta l’intelligenza del lettore e le vendite lo dimostrano: alcuni titoli sono già in esaurimento. Ma in ogni caso non ci interessano i grandi numeri. Se fossimo costretti a fare dei cartelloni pubblicitari, il nostro slogan sarebbe: questo libro non è per te.
Da ragazzo, quando hai incominciato a scrivere e a far leggere i tuoi versi, già ti immaginavi editore? Oppure è un desiderio che hai scoperto di recente?
Non lo immaginavo, e certamente non lo desideravo, davo per scontato esistesse una struttura culturale già consolidata. E in effetti per un certo tempo c’è stata, c’erano riviste e collane di qualità, ma le cose sono precipitate negli ultimi anni, e il risultato è sotto gli occhi di tutti. La mia è una situazione transitoria. La collana non durerà in eterno, una volta esaurite le proposte non andremo avanti per inerzia.
Spesso ci si lamenta di come stanno le cose; si è sempre pronti a dimostrarsi insoddisfatti di quello che fanno gli altri (è un vezzo molto italiano); più raramente si prende il coraggio e si fa qualcosa di diverso. Tu hai deciso di farti carico – a tuo modo – della promozione della poesia italiana: cosa dell’ambiente editoriale non ti convince?
Case editrici e mezzi di comunicazione sono spesso gestiti pensando al solo profitto, così la mediocrità prende il sopravvento. Persone incompetenti che in altri paesi farebbero i comici nei lunapark, da noi sono accreditati come esperti: una critica stracciona, fiancheggiata spesso da un’accademia autoreferenziale, che non è interessata al lavoro portato avanti dai poeti nella più assordante indifferenza. Alcuni si lamentano dello stato dell’arte ma dobbiamo riconoscere la mancanza di fantasia e idee in troppe proposte editoriali. E poi c’è un problema che riguarda gli spazi pubblici – musei, assessorati, istituti di lingua ecc. – e la loro gestione clientelare, affidata a gruppi di potere. Festival e premi sono un esempio in più, se ce ne fosse bisogno, di come i finanziamenti vadano spesso sprecati.
Hai avuto un’occasione e non l’hai voluta sprecare, dunque, come spesso accade?
Non ho voluto perdere questa occasione. Ci lamentiamo dello stato morale della politica ma non ci rendiamo conto che tutto parte dal linguaggio e dalla conoscenza. Dove il linguaggio, impoverito e banalizzato, veicola solo propaganda e vacuità, le persone vivono una superficialità smaltata e inconsapevole. Taluni gridano indignati “Ridateci il futuro” ma il futuro non si può esigere, si può però pensare a come vorremmo essere, se una società senza discriminazioni, sostenibile, informata o una massa decerebrata da discoteca, gli uni contro gli altri. Non si può rimanere inerti davanti alla decadenza del linguaggio, perché la sua disgrazia conduce al tracollo del pensiero e della società. Gli scrittori devono mantenere la lingua in salute.
Una cosa subito salta all’occhio. Hai deciso di fare libri “doppi”, in cui due autori di diversa scrittura si incontrano. Puoi spiegarci meglio come hai scelto di strutturare la collana di poesia? Quali sono le caratteristiche della parola poetica che vuoi esaltare?
La collana si caratterizza per uscite di volumi doppi di giovani autori che condividono un percorso di ricerca, che sigillano un confronto stimolante. È un’idea che è nata dalla pratica del confronto e della stima. Gli abbinamenti sono spesso proposti dagli autori stessi, poeti spesso diversi tra loro. Una novità editoriale che funziona e che stimola anche gli autori. Queste edizioni sono intervallate da libri inediti di maestri viventi della poesia universale. Vogliamo pubblicare lavori di qualità, e siamo disposti a muoverci, a cercare, a tradurre. Non vogliamo portare avanti una scuola o un genere ma cerchiamo di trovare in ogni ambiente ciò che merita attenzione. Ci guida un senso di onestà estetica. Possiamo dirci orgogliosi di ogni singolo volume e vorremmo lanciare una sfida di qualità alla grande e piccola editoria. La nostra forza è un catalogo non compromesso. Oggi tutto è rimesso in discussione, gli studenti, legittimamente, non si fidano della facoltà di lettere, i lettori vanno direttamente all’opera, senza mediazioni, la letteratura è diventata un corpo a corpo.
Hai appena detto: “non vogliamo portare avanti una scuola o un genere”. Dai libri che hai pubblicato, risulta molto chiaro che tu non voglia proporre un’ideologia poetica da difendere a tutti i costi. Sono tutti autori molto diversi. Mi sembra che è altro quello che stai cercando.
Non sono in possesso di un’ideologia poetica ma di un senso critico esigente. Non voglio perorare una causa di parrocchia, o appoggiare uno stile o una scuola, all’opposto, voglio dimostrare come la qualità sfugga alle anguste categorie della critica. Per ora abbiamo sempre scelto autori in possesso di una personalità stilistica originale e robusta, testi molto spesso divertenti e sagaci.
Se hai deciso di curare la poesia altrui, penso che tu sia convinto che la poesia non si trasmetta soltanto per misteriosa immediatezza dall’autore al lettore, ma che c’è bisogno di un gran lavoro per farla conoscere e riconoscere, per diffonderla e metterla in circolo. Ma come credi che la poesia vada comunicata? Quali sono i rischi di una cattiva comunicazione della poesia, se ce ne sono?
La poesia è una delle arti più raffinate, bisogna avere gli strumenti per poterla affrontare, non è per tutti. Bisogna creare le condizioni previe alla lettura, l’istruzione è la chiave. Poi servono editori volenterosi. Va incoraggiato l’approccio agli autori contemporanei, che anzi potrebbero diventare la porta di accesso al resto del programma. Nelle scuole è importante coinvolgere i ragazzi andando direttamente ai testi, magari invitando i poeti. Certo che se fuori dalle aule non esiste nessuna architrave culturale… I mezzi di comunicazione potrebbero collaborare alla diffusione della poesia contemporanea, invece che ignorarla completamente. Proporre (su giornali e scaffali) romanzi usa e getta, biografie di comici e barzellette di calciatori non aiuta a formare una sensibilità al linguaggio. Per non parlare dell’idioletto posticcio della televisione commerciale. Il rischio è che la mediocrità corrompa irreparabilmente il gusto, come il vino cattivo.
So che hai vissuto molto in Spagna; e sicuramente ti sei confrontato per il tuo lavoro di editore con altri mondi della poesia e dell’editoria. Cosa trovi che ci sia all’estero che qui non c’è? Pensi che invece l’Italia abbia qualcosa che altrove non c’è?
All’estero il lavoro dei giovani è una risorsa per l’editoria, a loro sono affidate responsabilità di alto profilo. Inoltre ho trovato maggiore rispetto e considerazione per i poeti. Parlo di Spagna, Inghilterra, Francia e paesi scandinavi, certo, ma anche di Colombia e Ecuador, dove la cultura diventa riscatto sociale. Se da noi i giornali chiedono commenti politici a calciatori e cantanti, all’estero si affidano piuttosto a filosofi e poeti. E poi la scrittura commerciale è nettamente separata dalla letteratura, mentre da noi… L’Italia ha però energie trattenute (e frustrate) che potrebbero fare la differenza. Abbiamo esempi di abnegazione. Dopo che la città di Detroit ha venduto i suoi Caravaggio per salvarsi dalla bancarotta, scopriamo che l’arte è classificata nei bilanci come uno dei pochi attivi. E allora non ci vengano a spiegare i tagli con il volgare ritornello della cultura che non paga. In Italia sediamo su un tesoro – la politica cerchi un’alternativa a questa ipoteca culturale.
EDB ha cercato fin da subito una caratura internazionale. Come scegli gli autori esteri? Quali sono, oltre al meraviglioso libro di Leopoldo Marìa Panero (il cui titolo è una tua scelta, vero?), le prossime uscite internazionali di EDB?
Non ho mai pensato che la letteratura avesse confini. La dimensione internazionale è ormai qualcosa che caratterizza i giovani autori. Il titolo di Panero, Il cervo applaudito, l’ho semplicemente trovato, era lì tra i suoi versi. Sentivo la necessità di dotare il nostro catalogo di una forza propulsiva: la presenza dei maestri contemporanei. La scelta è caduta su Panero perché è un autore fuori da ogni paradigma, un caso estremo, certo, ma di grande qualità. Il libro, assolutamente inedito anche in Spagna, è probabilmente il più bello pubblicato dal poeta negli ultimi anni. La curatela e la traduzione sono di Ianus Pravo, cui va il merito di avere trascritto le poesie sotto dettatura, perché Panero non scrive più di suo pugno. Un’esperienza che è stata anche ripresa in un video per internet. Un’occasione che non ci siamo fatti scappare. Abbiamo considerato varie ipotesi ma questa ci è parsa la migliore per inaugurare la costola dedicata ai maestri che ritmerà le uscite a quattro mani dei nuovi autori.
Il prossimo autore straniero esce in questi giorni “abbinato” a Francesca Moccia. Si tratta di Jack Underwood, il cui libro, nonostante la giovanissima età, è tra le nuove proposte più interessanti pubblicate negli ultimi anni da Faber&Faber. Ne seguiranno altri, tra cui una curiosa coppia internazionale. Due “big” ci hanno dato la loro disponibilità… Quando cerchiamo un autore in un paese straniero, individuiamo, grazie al supporto di validi studiosi e traduttori, i poeti che ci sembrano più efficaci e rappresentativi, esattamente come facciamo per i candidati italiani. Voci che possano mostrare al meglio la ricerca poetica e linguistica condotta in un determinato paese. Che abbiano idee e fantasia.
Ora ti propongo un gioco: una perfetta domanda scema. Mi descrivi il tuo libro ideale?
Un libro breve, che crei attrito, le cui parole siano giustificate.
Infine, un’altra domanda personale. Cosa c’è del poeta Pellegatta in questa tua collana?
C’è il piacere per la lettura e l’allegria nel farlo. C’è uno stile editoriale non chiassoso, ma neanche liturgico o narcotizzante. C’è la ricerca del confronto, e l’amore per oggetti editoriali raffinati anche nella grafica. Le illustrazioni sono infatti affidate a artisti ogni volta differenti. Da maestri come Giancarlo Ossola, Antonio Lopez e Alberto Ghinzani ad artisti più giovani, come Massimo Dagnino e Nada Pivetta, scultrice che insegna a Brera.
Grazie Alberto, è stato un piacere parlare con te.
Immagine: Lucio Fontana, Concetto spaziale.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).