Il luogo è essenziale. Non è difficile immaginare cosa fosse questo posto nel 1970, quando Ivo, racconta la vecchia Futinì, arrivò per primo, e c’erano solo due edifici. Come Cristoforo Colombo, penso mentre Futinì racconta, Ivo scende dalla barca e riconosce la nuova terra, la misura e la fa sua. Poi la notizia si è piano sparpagliata, ma con cautela: nel ‘76 il primo gruppo di dieci italiani (Venezia, Milano, Roma) arriva e struttura il rito del ritorno all’isola, del ritorno al Qui.
Qui è un piccolo paese situato a nord est di un’isola di medie dimensioni del Dodecanneso, è un paese che in parte si è salvato ovvero si è condannato suo malgrado a non arricchirsi di Grande Turismo. Sopravvive di un equilibrio che ancora regge, e il progresso si insidia lento, è una tarma piccola, che mangia il legno, ma mangia più piano che altrove e allora l’essenza rimane, ricostruisce.
Siamo arrivati Là, all’isola, con il traghetto Anek Lines in partenza da Rodi. Da Là abbiamo preso una piccola barca per arrivare Qui. Sulla barca c’è un gruppo italiano Apollo-tour, la guida greca non trova Alessandro, qualcuno visto Alisandro? chi visto Alisandro? Io odio Alisandro, non voglio aspettarlo, se Alisandro è in ritardo fatti suoi. Perché sono le otto di mattina, sono appena sbarcata da un traghetto blu Anek Lines, hai presente Alisandro quel traghetto che viaggia notte e giorno, enorme, che attracca ai moli con la violenza di un tonno appena pescato, che si dibatte inesorabile fuori dall’acqua, e la perizia di un cardiochirurgo con gli occhi incollati sulle valvole di pompaggio. Dopo la notte su una nave Anek Lines, che ha la moquette, ha la gloriosa decadenza del tempo addosso, fa rumori, è grezza eppure aggraziata, e quelle sul traghetto quelle notti per me di veglia, in cui vado spesso fuori, sul ponte, cerco i segni delle isole, Alisandro, la calma potente della notte greca, e attendo, e penso, con calma anch’io, perché se non stai calmo sei fregato, se cerchi la posizione comoda sulle poltroncine bus sei fregato, se guardi la gente che dorme ti agiti, e tu non dormi, sei fregato, e allora cerchi il modo di arrivare al mattino, cerchi i particolari, le venature della nave, il grasso degli ingranaggi, Alisandro, ti fissi sulle crepe della vernice, e cerchi di non soffrire il mal di nave, e guardi poco a poco più di frequente l’orologio. Dopo la notte sulla nave Anek Lines se sali sulla barca con l’Apollo-tour dove tutti chiedono Alisandro, l’unica cosa ragionevole Alisandro sarebbe picchiarti a sangue.
La barca ha costeggiato la parte sud est dell’isola, salendo a nord. Le rocce ti schiaffano in faccia milioni di milioni di anni di vento, di frane e di resistenza: alcuni alberi, forse tamerici, sono nati incastrati tra queste rocce, sfidando le regole scientifiche della verticalità della loro esistenza. Più la barca si avvicina a Qui e più mi sento a disagio, sempre più vicina ad Alisandro, sono anzi io Alisandro, io il capo universale delle vacanze Apollo-tour. Io sto arrivando come un tarlo a rovinare il luogo. Al molo Pec mi sta aspettando, con gli occhiali da sole, a suo agio, le mani in tasca, con le radici dei piedi salde a terra, saldate forti da più di trent’anni di ritorno all’isola, su quel molo. Tutti i turisti che arrivano in posti come Qui pensano di essere migliori degli altri turisti, di essere un Caso A Parte. Pec è diverso per davvero, lui fa parte del Qui e Qui lo sa. Tutti gli altri, noi, siamo organismi estranei, e nel tentativo di far parte di Qui odiamo gli altri turisti. Per ogni viaggio c’è sempre un innocente Alisandro da odiare.
Pec ci porta alla locanda dei coniugi Fotini e Kostas. Fotini è pronunciata Futinì, ha ottant’anni, ha un vestito greco prevalentemente bianco, il copricapo nero. Le sue rughe sono canali di lava vulcanica schizzata sull’isola nella notte primordiale. Ha i solchi degli anni, della lava che l’ha segnata, i solchi partono dagli occhi, perché piange. Kostas ha più di ottant’anni, sta seduto sotto il portico e legge riviste e libri, è anche lui solcato in volto ma ha solchi diversi da Futinì, solchi di mare e non di lava. Kostas ha il volto eroso dal mare. Ha venduto la sua barca a Nikos. Le figlie si sono sposate, tornano ogni tanto all’isola dai genitori, hanno perso i segni dei loro avi.
Kostas la mattina si spinge fino alla spiaggia, al bar dei greci. Futinì si tiene protetta con i venti metri di stradina che separano la locanda dalla spiaggia. Futinì è donna di terra, mi viene il dubbio che non abbia mai visto il mare. Sembra che lo conosca per sentito dire, e quando la mattina mi dice oggi è un buon giorno per andare in barca io penso che devono esserci dei segni sulla terra che le dicono com’è oggi il mare: il canto del gallo, la direzione del vento, le condizioni vitali del basilico sul terrazzo. Oppure, penso, è il venditore ambulante che improvvisa il bollettino meteo mattutino. Kostas no, non può essere lui, perché Kostas da molto tempo tace.
Pec ci porta al primo piano della locanda. La camera numero sei è essenziale, è la più grande, due letti attaccati al muro due mensoline in legno una persiana blu che dà sul balconcino. Attorno ci sono altre costruzioni, sono orribili, con ferri per il cemento armato che spuntano sui tetti nel caso in cui. Il gallo canta alle 5.24. Ripenso al primo gruppo di italiani nella locanda, li immagino sul terrazzino, nella vaga e imprecisa idea che ho degli anni ’70.
La notte ho dormito, ho aperto gli occhi alle 5.24 nella camera spoglia, bianca, cruda, che mi somiglia. Mi sono svegliata come se non avessi mai dormito così tanto, ho dormito un secolo, e strani e inquieti sogni mi hanno ritrovato dopo tanti anni. Sono arrivata all’isola con il vomito, il secondo ciclo di antibiotici e la fatica di un anno intero, sono arrivata con tutta la stanchezza di un anno, di cui non sapevo. Le frasi a metà, la convenienza del parlare o no, quello è falso stai attenta, no no ma a me non interessa, se ti dice così non rispondere, gentile dottoressa un saluto molto cordiale, si è tutto sciolto. La sera del terzo giorno ho pianto, e dal mare è venuto a parlarmi mio padre.
Pec dice qui l’aria è polita, minerale.
La sera andiamo alla taverna Gorgona di Gabriella, con altri italiani. C’è un portichetto con terrazza e dieci tavolini ricoperti di cerata azzurra. Di Gabriella si dice che è una donna forte, quando ti dicono che sei forte è una fregatura, dice lei, e io ammiro la sua durezza, la sua ironia. Gabriella ha adottato un gatto paraculo, Silvestro, che ha sbaragliato la concorrenza e con il suo paraculismo ha sovvertito la legge del più forte. Poi c’è La Stronza, una cliente arrivata da pochi giorni che racconta di Santorini e Formentera. La Stronza è la somma di un colonialismo fascista allineato a quella borghesia indiscreta che non si muove con Apollo-tour per scelta. Alisandro, nonostante i suoi ritardi, è da ammirare. Gabriella si sveglia alle sette ogni mattina, si fa il bagno. Gabriella è un colosso di pietra, sicuro e forte, e Silvestro, che non è certo scemo, capisce e sa.
Non lontano dalla Gorgona c’è il cimitero delle barche, una discarica a cielo aperto dove Pec va a cercare bastoncini di legno colorati di vernice. Li usano per dipingere, mi spiega con gli occhi faro puntati tra i rimasugli. Ormai non ce ne sono quasi più.
Nikos ha il profilo greco, ha ereditato la barca di Kostas e ogni giorno porta i turisti in giro per l’isola. La mattina gioca al tavli insieme agli altri greci. Jorgo è il capitano di un’altra grande barca, è l’unico concorrente di Balaskas. I turisti vanno un po’ da uno e un po’ dall’altro. Invece di proporre rotte diversificate, partono entrambi a uguali orari e destinazioni. Si tratta quindi, sul molo, di decidere chi dei due pagare. La barca di Jorgo è più moderna, i vestiti professionali: aspetta l’arrivo del Grande Turismo, sa che è vicino. La barca di Nikos è più malandata, un po’ più vecchia, e per ora il turista che sceglie di villeggiare Qui pensa che la barca di Nikos sia più tipica, più vera, e sceglie quella. Nikos sa navigare meglio, Jorgo conosce il futuro. Mi chiedo chi vincerà.
Balaskas ha una piccolissima barca, ci porta nelle spiagge più lontane e inaccessibili e ci lascia lì per alcune ore. C’è solo il rumore del mare, se ti inoltri verso la montagna e ti fermi, tutto è immobile. Ogni tanto una mosca passa a sottolineare il vuoto, nei sentierini rocciosi permane la preistoria e tutto è terra, e tuo padre è qui. Pec intaglia un pezzo di legno e fa una barca. Quando si finisce una barca, mi dice, la barca va lasciata andare in mare. Io però non voglio lasciare andare la Pec Boat, non l’hai ancora finita, gli dico; mi atteggio da bambina, dall’acqua la prendo e faccio mia.
Anni e anni fa morì un ragazzo dell’isola, affogato. Le prefiche aspettarono il ritorno di Kostas che portava la salma sulla sua barca al molo, al molo si strappavano i capelli. Quando guardo il molo, ora, penso solo a una salma che arriva al molo, che piccola piccola, all’orizzonte, si avvicina, e a riva i pianti.
Un giorno, spero lontano, un sisma eccezionale spaccherà l’isola. Futinì e Kostas, immobili, non scapperanno, le loro figlie non saranno pronte a salvarsi. L’isola si accartoccerà in sé stessa e nessuno, dico nessuno, potrà fermare il risucchio universale. Il molo cadrà per primo e nessuna nave potrà più attraccare. Le spiagge saranno sommerse da onde strabilianti. La parte più alta, Olympos, il divino, crollerà fino alla spiaggia, trascinando i piccoli souvenir nelle cune, nelle valli, dove le piene delle piogge si adagiavano verso il mare. Cadranno le pale dei mulini, il pane chiodato di garofano, gli spuntoni delle case saranno mangiati dalla vite. La besciamella per la moussakà, sul fuoco, si mischierà alla terra, al fondo. Ci sarà il boato di un tirannosauro e io, che forse sarò ancora viva, altrove, non avrò più un posto dove andare. Jorgo ha predetto il disastro prima di tutti gli altri, lui sa prepara e tace.
Dal cimitero delle navi le barche rientreranno in mare sballottando. Solo la Pec boat, che ho nascosto tra i bagagli e ho portato a casa, contro la legge, si salverà con me, e sarà il mio Qui in eterno, e Diafani non morirà mai.
*Il disegno che accompagna il testo è di Francesco Pecoraro e si intitola Casa a Kandri.
“Gite d’autore” è un progetto curato da Andrea Cirolla.
Il primo racconto, di Francesca Serafini, è qui.
Quello di Roberto Amato qui.
Quello di Massimo Raffaeli qui.
Quello di Carmen Pellegrino qui.
Quello di Valentino Ronchi qui.
Seguirà un testo di Francesca D’Aloja.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).